Pubblichiamo l’opinione dell’economista Pier Giorgio Ardeni sulle elezioni europee del 2024. È passato un anno dacché la destra postfascista è salita al governo del Paese raccogliendo quei 12 milioni di voti che già aveva ottenuto in coalizione nel 2018, sottraendoli a Lega e Forza Italia, ma la sinistra italiana pare essere ancora in stato di coma farmacologico, tra il Pd e i suoi alleati che ne hanno persi un milione e mezzo e i 5 Stelle cui ne sono andati 6 milioni in meno. Tutti elettori che, evidentemente, per non «turarsi il naso» o darli a Calenda e Renzi hanno preferito stare a casa, totalmente disillusi. Eppure, ragioni per ritrovare il senso e la direzione di marcia ce ne sarebbero, con l’Italia che va a pezzi, sfibrata, tanto più che il governo pare tirare a campare – al di là degli annunci – tra l’incompetenza del suo personale e le pulsioni revansciste e reazionarie che ne animano il cuore torbido.
Nel Pd, l’elezione alla segreteria di Elly Schlein ha risvegliato qualche passione, animando desiderata e velleità forse più all’esterno che all’interno del partito, il cui apparato è uscito sconfitto dalla partita giocata con Bonaccini. Una Schlein “movimentista” e “radicale” sembra aver risvegliato più l’appetito dei suoi detrattori a destra e nei media – dal Corriere ai fogli di Angelucci, con le tv al seguito – che nei suoi sostenitori nel partito, i quali non sembrano riuscire a fare altro che farle eco, invece di proporre riflessioni serie e approfondite sui temi sul tavolo. Che l’agenda sociale italiana sia caldissima come non mai non pare stuzzicare né l’apparato del partito né gli intellettuali “di area” che per lo più latitano. Per un partito che doveva “rifondarsi” o quanto meno “ripensarsi” le idee, le proposte politiche e le questioni poste negli ultimi mesi paiono davvero poca cosa, un intangibile cicaleccio di consistenza nulla che non fa ben sperare.
C’è stata, vivaddio, una “iniziativa” sul salario minimo, qualche presa di posizione sui migranti, sulla sanità. Ma se un partito non riesce a farsi promotore di discussione, portando i temi al centro dell’agenda, in una prospettiva che vada oltre il quotidiano, vuol dire che dietro non c’è che il nulla. Un comitato elettorale che riesce solo a vivere in funzione delle prossime elezioni, ossessionato dal posizionamento e dai tatticismi, mentre quelli che dovrebbero essere i suoi referenti nella società sono ormai lontani, usciti dall’orizzonte. A chi sta parlando il Pd di Elly Schlein se non agli stessi a cui aveva parlato fino ad oggi? Perché anche Elly Schlein, va detto, ancora non ha fatto sparire il sospetto che il giorno che tornerà al governo quel partito non riproporrà le stesse ricette che gli hanno fatto perdere negli ultimi quindici anni 5 milioni di voti.
A sinistra, liste e raggruppamenti in cerca d’autore non riescono a trovare un’identità e le lezioni della storia recente non paiono servire, né essi sembrano imparare da ciò che si fa in Francia o in Spagna. Sinistra Italiana, raccolto il minimo indispensabile per entrare in parlamento sotto l’ala del Pd, non ha riconoscibilità, così come non l’hanno i Verdi, che non riescono ad uscire dal ruolo di “testimonianza” nel quale sono intrappolati.
Unione Popolare, nata come lista tra Rifondazione comunista e Potere al popolo, dietro al portavoce Luigi De Magistris, raccogliendo appena 400mila voti, passato un anno non sembra capace di maturare e lontana pare essere la possibilità che diventi un soggetto politico serio in grado di raccogliere consensi oltre la limitata base dei militanti. Il pregiudizio identitario prevale sulla strategia politica. Per l’unico raggruppamento che si era dato una caratterizzazione in aperto contrasto con l’impostazione neo-liberista del Pd, pare non esserci altro all’orizzonte che la protesta che, però, non si traduce in azione politica. Ci sarebbero decine di questioni sulle quali Up potrebbe trovare una voce comune e concrete possibilità di trasformare il disagio in proposta, ma troppe sono le scorie puriste perché l’idea di fare fronte unitario con altri possa farsi strada. E la sua presenza nel panorama politico italiano è evanescente.
Nessuno sembra capire, a sinistra, che è ora di cambiare registro e rotta di fronte alla deriva sovranista e militarista, in cui è la destra, ora, che si fa garante dell’atlantismo. Con le elezioni europee si offre un’opportunità, favorita dal meccanismo elettorale proporzionale e dal fatto che qualunque convergenza non dovrà necessariamente avere ricadute sul piano politico nazionale. L’Italia ha bisogno di far sentire la voce degli italiani, che sono in maggioranza contrari alla guerra. Un diverso ruolo dell’Europa sullo scenario internazionale, un diverso ruolo nella Nato, un’Europa che privilegi l’equità al rigore dell’austerity, che torni ad essere «sociale». Michele Santoro e Raniero La Valle hanno scritto un appello che ha ricevuto molte adesioni, il cui obiettivo è quello di una Lista elettorale «contro la guerra ma non pacifista» rivolta ad un ampio spettro di associazioni. Potrebbe avere i numeri per “sfondare” e andare a rafforzare in Europa il fronte di chi si oppone a questa Ue bellicista e filo-americana. Santoro non sarà forse un grande leader politico, ma l’occasione parrebbe propizia. Eppure, le sinistre varie tentennano, perché, si sa, per alcuni è più importante distinguersi che fare causa comune. Così, un anno è passato e un altro passerà.
L’autore: Pier Giorgio Ardeni è professore ordinario di Economia politica e dello sviluppo all’Università di Bologna
A Roma, sabato 30 settembre (dalle ore 16) al Teatro Ghione si terrà l’Assemblea per la pace, la terra e la dignità. Info qui