Più avanza la sanità privata, più saremo privati della nostra salute”. Non è un gioco di parole, è proprio ciò che sta avvenendo. I dati ormai li conosciamo. Il Servizio sanitario nazionale (Ssn) è stato fortemente compromesso da un taglio di 37 miliardi di finanziamenti negli ultimi 10-15 anni; dei 191 miliardi del Pnrr solo poco più di 15 sono stati destinati alla sanità, circa l’8%; il governo Draghi decise di ridurre a poco sopra il 6% del Pil la spesa sanitaria nel giro di quattro anni, mentre già oggi la spesa sanitaria pro-capite è meno della metà di quella tedesca e solo poco sopra al 50% di quella francese. È quindi arrivato il governo Meloni: taglio di oltre 414 case di comunità sulle 1.350 previste e di 96 ospedali di comunità su 400. Negli ultimi vent’anni sono circa 180mila gli operatori sanitari, formatisi in Italia e trasferitisi a lavorare all’estero. Aumenta il numero di medici che fuggono verso la sanità privata che, nel frattempo, ha un giro d’affari superiore ai 62 miliardi dei quali oltre 25 sono soldi pubblici destinati alla sanità privata convenzionata. In tale contesto, quest’anno l’aumento di spesa per il Fondo sanitario nazionale non copre nemmeno la metà dei costi dovuti all’inflazione.
Il risultato è un vero e proprio disastro che milioni di italiani stanno sperimentando quotidianamente sulla loro pelle e nel loro corpo. L’aspetto più evidente sono le infinite liste d’attesa che possono arrivare anche a 1.300 giorni (quasi 4 anni) per una colecistectomia in Lombardia e non sono certo che questa sia la maglia nera a livello nazionale. Ma vi sono anche aspetti meno evidenti al cittadino, ma non di minor importanza, come ad esempio la condizione della medicina preventiva, diventata la cenerentola del nostro Ssn, che comprende anche l’abbandono al proprio destino dei servizi di medicina del lavoro e quindi anche del loro ruolo ispettivo, proprio in un momento dove le morti sul lavoro raggiungono l’apice. Dopo aver ignorato per decenni i tagli alla sanità realizzati da governi di qualunque colore, oggi i principali media se ne accorgono e non c’è giorno che non raccontino le drammatiche condizioni nei quali versa il Ssn, ma rimangono refrattari nell’indicare cause e responsabili. A sinistra si moltiplicano i seminari e i think tank; abbiamo certamente necessità di analisi e di riflessioni, ma non possiamo aspettare un ipotetico cambio di governo, per ora non all’orizzonte, per progettare un rilancio e una riorganizzazione del Ssn. Ammesso che nel frattempo si sia sviluppata una seria autocritica sull’azione dei governi di centrosinistra degli ultimi vent’anni. C’è urgenza di interventi immediati, perché resuscitare un morto è un’impresa impossibile e il nostro Ssn è boccheggiante. È necessario che chi, come noi, si batte per un Servizio sanitario nazionale universalistico, gratuito nelle prestazioni, perché finanziato dalla fiscalità generale in modo proporzionale al reddito, si ponga obiettivi concreti, immediati, finalizzando al loro raggiungimento vertenze che, partendo dai territori, sappiano diventare una campagna nazionale nella quale utilizzare anche forme di lotta radicali e continuative nel tempo. È bene essere chiari: non ci può essere alcun rilancio del Ssn a costo zero, né senza un significativo taglio dei finanziamenti e dei vantaggi attribuiti oggi alla sanità privata. Chi non intende scontrarsi con le grandi aziende sanitarie private proprietarie di ospedali e ambulatori, di Rsa e Rsd (Residenze sanitarie per disabili), con Big Pharma che controlla la produzione e i prezzi di farmaci e vaccini, può lanciare tutti i proclami che vuole, ma le sue resteranno parole vuote nel vento. Alcuni obiettivi per l’immediato: aumento della spesa sanitaria pubblica fino ad arrivare almeno al 7,5% del Pil per avvicinarsi alla media Ue; distribuzione delle risorse nel Ssn privilegiando la prevenzione, la diagnosi precoce e i servizi territoriali a cominciare da quelli destinati alla psichiatria, ai consultori e ai servizi per i minori; aumento significativo degli stipendi dei medici e del personale sanitario oggi molto sotto la media dei Paesi dell’Europa occidentale; contratto di assunzione nel Ssn per i nuovi medici di medicina generale e proposto a chi già svolge questa professione; divieto, entro 6 mesi, del “medico a gettone” con la realizzazione nel frattempo di canali a disposizione, per chi oggi lavora con tali modalità, per rientrare/entrare nel Ssn. Per l’abbattimento delle liste d’attesa: obbligo, in ogni regione, di un unico Cup, Centro unico di prenotazione, nel quale convogliare le agende di tutte le strutture pubbliche e private accreditate/convenzionate senza esclusione alcuna; divieto, con precise penalità, sia alle strutture pubbliche che private accreditate/convenzionate di chiudere le agende; obbligo per le strutture private accreditate/convenzionate di garantire i medesimi tempi di attesa a chi arriva attraverso il Ssn e a chi arriva privatamente; interruzione dell’attività intramoenia in quei servizi dove non sono rispettati i tempi di attesa previsti dalla normativa; in mancanza del rispetto dei tempi previsti, offerta della prestazione in regime di solvenza al solo costo del ticket, se dovuto, come previsto dal decreto legislativo 124/98. Non è una rivoluzione, né la realizzazione del Ssn che noi tutti desideriamo e certamente ognuno riterrà di aggiungere, in base alla sua esperienza, altri obiettivi urgenti, ma quanto qui propongo sono il “minimo sindacale” per evitare il dissolvimento del Ssn.
Vittorio Agnoletto è medico, docente universitario e componente del direttivo nazionale di Medicina Democratica
Illustrazione di Marilena Nardi