Presidenzialismo e autonomia differenziata, le due riforme su cui spinge il governo Meloni, sono un combinato disposto che mina alla base i principi della Costituzione

Nella legislatura con il Parlamento più bistrattato dalla decretazione come strumento legislativo (sette decreti solo nell’ultimo mese) le uniche vere riforme che rimangono sul tavolo e su cui puntano i leader dei partiti di maggioranza sono il presidenzialismo (o il premieranno) e l’autonomia differenziata. 

Entrambe sarebbero evidentemente uno stravolgimento dello spirito con cui la Costituzione ha immaginato gli equilibri e i contrappesi della nostra democrazia repubblicana. L’elezione diretta del presidente della Repubblica – come se fosse un presidente del Consiglio – modificherebbe una figura di garanzia in una figura di governo, eliminando di fatto un contrappeso istituzionale. In entrambe le ipotesi su cui si sta discutendo (un presidente della Repubblica “governante” o un presidente della Repubblica ridotto alla funzione di “simulacro”) l’attuale presidenza si svuoterebbe dei suoi poteri di controllo. 

Gli esempi di Francia e Usa sventolati per rassicurare perdono molta efficacia in queste settimane dove lo scontro tra poteri (esecutivo e giudiziario) è ai vergognosi livelli del più vergognoso berlusconismo. Basta scorrere i giornali in edicola stamattina per rendersi conto che in questo Paese si sta consumando una guerra pericolosissima non solo per questo o quel giudice ma anche (e soprattutto) per la tenuta dei ruoli e dei poteri in campo.

Accanto a tutto questo resta il progetto di autonomia differenziata nella fase più acuta delle disuguaglianze nel Paese. Toccare l’Italia “una e indivisibile” in questo momento storico, con questo governo, significa prendersi la responsabilità di mettere mano all’articolo 5 della Costituzione. Ne siamo consapevoli, vero?

Buon venerdì.