La mostra In love with Laura al Kunst Historisches Museum di Vienna (fino al 15 ottobre) fa il punto su una interessante questione attorno alla quale gli storici dell’arte da secoli si interrogano: quali sono le origini dell’iconografia della musa del Petrarca? Quali le sue possibili filiazioni e implicazioni? Si tratta di una questione che trascende il ristretto ambito della storia dell’arte, dal momento che riguarda un personaggio letterario il cui peso specifico nella storia della cultura italiana ed europea (il “petrarchismo” fu un fenomeno di portata continentale nel XVI secolo) fu rilevante.
I curatori della mostra viennese hanno concentrato la loro attenzione su una serie di busti femminili dello scultore e architetto italiano, ma di origine dalmata, Francesco Laurana (Aurana 1430-Avignone 1502). La biografia di questo artista è poco nota, ma i dati certi di cui siamo a conoscenza sono il suo legame con la corte aragonese di Napoli, e in particolare con quel singolare personaggio che fu Ferdinando I (meglio noto come Ferrante), che regnò dal 1458 al 1494. Laurana era arrivato a Napoli nel 1453, chiamato a collaborare al cantiere dell’Arco trionfale, posto all’ingresso del Castel Nuovo (o Maschio Angioino) per celebrare la conquista della città da parte di Alfonso V (che dal 1442 era diventato Alfonso I di Napoli), il quale aveva avuto il merito di rendere la città uno dei centri più importanti dell’Umanesimo (proprio nel corso del suo soggiorno napoletano l’umanista Lorenzo Valla scrisse nel 1440 Sulla falsa donazione di Costantino smascherando il documento utilizzato da secoli per giustificare il dominio temporale della Chiesa cattolica). Dopo la morte di Alfonso, nel 1458, Laurana fu chiamato in Francia alla corte del re Renato d’Angiò, ma rimase legato a Napoli, città dove tornerà nel 1471. La sua fama è legata proprio a una serie di busti femminili di straordinaria bellezza; tra questi vi è il busto di Beatrice d’Aragona (la figlia di Ferrante che successivamente avrebbe sposato il re ungherese Mattia Corvino). Nella mostra viennese è esposto il meraviglioso Ritratto di gentildonna proveniente dalla National Gallery of Art di Washington e sono riprodotti tutti gli altri busti di questa serie. Una di queste sculture (le somiglianze tra questi busti sono notevoli e visibili anche per un occhio meno esperto) fa parte della collezione del Kunst Historisches Museum, ed è proprio su quest’ultima che i curatori della mostra hanno voluto porre l’attenzione. Si tratta del Busto femminile, a differenza di tutte le altre, una scultura policroma che ha mantenuto pressoché intatta la sua originale policromia realizzata con cera colorata. Per anni gli studiosi si sono chiesti chi fosse la donna ritratta dallo scultore dalmata. Secondo alcuni sarebbe il ritratto di Isabella d’Aragona, la nipote di Ferrante e figlia del suo primogenito Alfonso II (avrebbe sposato il duca di Milano Gian Galeazzo Maria Sforza nel 1488, ma quest’ultimo si sarebbe rifiutato di consumare il matrimonio per tredici mesi, secondo alcune fonti per via della scarsa avvenenza della moglie). Ma le testimonianze relative ai tratti somatici di quest’ultima non coinciderebbero con quelli del busto.
Al contrario, i tratti somatici della scultura sembrano una fedele riproduzione di un ritratto di Laura, la musa del Canzoniere petrarchesco, contenuto in un codice custodito presso la Biblioteca Laurenziana di Firenze. In questo caso le somiglianze sono straordinarie e non riguardano solo i tratti somatici, ma anche l’acconciatura dei capelli, trattenuti entro una identica retina. Ma quale delle due rappresentazioni ha la precedenza, il busto o il ritratto? A questa domanda non è possibile dare una risposta, perché il codice in questione non è datato; tuttavia più plausibile è l’ipotesi che il ritratto sia il modello a cui si sia ispirato il Laurana, e non il contrario. A conferma di ciò, il fatto che anche nel frontespizio dell’edizione di Sonetti Canzoni e Triomphi di M. Francesco Petrarca (Venezia, Fratelli Nicolini da Sabbio, 1549) compare un’incisione con due ritratti, uno del poeta e l’altro della sua musa, con le fattezze che corrispondono esattamente ai due ritratti del codice fiorentino (in un’epoca in cui non esistevano macchine fotografiche, un ritratto su carta è molto più facile da trasportare rispetto a un busto di marmo!), a dimostrazione dell’esistenza di una tradizione iconografica ormai consolidata.
A questo punto una domanda è: cosa ne sappiamo delle fattezze vere e proprie della musa del poeta? Due sonetti del Canzoniere, il 77 e il 78, ci testimoniano l’esistenza di un ritratto della musa eseguito da Simone Martini. I due si sarebbero incontrati ad Avignone (la città dove era avvenuto il fatale incontro tra il poeta e la sua musa il 6 aprile del 1327) dopo il 1336, anno in cui il pittore senese era stato chiamato dal papa Benedetto XII per decorare la sua residenza-palazzo. Nei due sonetti in questione il poeta loda il pittore per il ritratto («Ma certo il mio Simon fu un Paradiso / Onde questa gentil donna si parte / Ivi la vide, e la ritrasse in carte» 77, 5-7). Si trattava quindi di un disegno, che purtroppo è andato perduto. Tuttavia ci sono testimonianze di una tradizione iconografica che potrebbero ricollegare, almeno cronologicamente, il disegno di Simone Martini e la successiva tradizione iconografica (a cui sarebbe ricollegato anche il citato busto del Laurana).
Il letterato e collezionista d’arte veneziano Marcantonio Michiel (1484-1552), visitando la casa padovana di Pietro Bembo, segnalava “un retratto de Madonna Laura amica del Petrarca tratto da una Santa Margarita che è in Avignone sopra un muro, sotto la persona della quale fu ritratta Madonna Laura”. La fonte è considerata attendibile, anche se non indica l’autore di questo affresco nel quale sarebbe stata raffigurata la musa del Petrarca sotto le sembianze di Santa Margherita e che non è stato possibile identificare. Tuttavia tale fonte testimonia l’esistenza di una tradizione iconografica antica. Non sappiamo se il disegno di Simone Martini fu il capostipite di questa tradizione, ma non possiamo nemmeno smentirlo. Nel 1336, l’anno dell’incontro tra il poeta e il pittore, Laura de Noves (nota anche col cognome di de Novalis, o de Noyes o Madame de Sale, 1310-1348, questo sarebbe il nome della nobildonna francese amata dal poeta) era ancora viva. L’esistenza del disegno è comunque già una prova che ricollega tale tradizione alla persona in carne e ossa. Da ciò quindi almeno possiamo dedurre quanto segue: la possibilità che i lineamenti del ritratto del codice laurenziano (e quindi di conseguenza anche del busto del Laurana) corrispondano effettivamente a quelli della donna amata dal poeta è concreta. Ma se allarghiamo il campo d’indagine, vediamo che i busti del Laurana presentano evidenti somiglianze tra loro e nello stesso tempo (anche se in questo caso le somiglianze sono molto più vaghe) anche ad alcune figure femminili di Piero della Francesca.
Questa ricerca iconografica ci può essere utile anche per gettare una nuova luce su un altro quadro, sempre conservato al Kunst Historische Museum, che si intitola proprio Laura, l’unico attribuibile con certezza al Giorgione e datato al 1506 grazie a una iscrizione nel retro della tavola nella quale sono indicate data e autore. Da secoli gli storici dell’arte si erano chiesti chi fosse la donna ritratta sullo sfondo delle foglie di lauro e se avesse qualcosa a che fare con la tradizione petrarchesca. Da un punto di vista iconografico, questo ritratto di Giorgione e la donna ritratta nel codice laurenziano non hanno nulla a che fare. Ciò appare evidente anche a uno sguardo superficiale. Una volta sgombrato il campo dai possibili legami con la tradizione petrarchesca, è possibile costruire una lettura iconografica di questo quadro su basi più solide. Quella ritratta dal Giorgione, è una donna in carne e ossa, probabilmente su istanza del suo marito/amante (probabilmente si tratta di quel Giacomo menzionato nell’iscrizione dietro alla tavola). Molto si è discusso sul valore simbolico del lauro sullo sfondo del ritratto (secondo alcuni simbolo della fedeltà coniugale), del vestito rosso col collo di pelliccia (secondo alcuni tipico delle cortigiane di Venezia) e sul dettaglio del seno scoperto (cosa che all’epoca, nel 1506, doveva apparire leggermente oltraggiosa e che comunque non sarebbe certo passata inosservata). Ma questo è un altro argomento, che meriterebbe certo una trattazione a sé.