Di fronte alla spirale di violenza sui civili palestinesi dopo la strage compiuta da Hamas in Israele, il commento del professor Ardeni

Di fronte alle drammatiche vicende in queste ore in Israele a Palestina non si può che essere sgomenti: un attacco dei militanti di Hamas partito da Gaza su suolo israeliano che provoca centinaia di vittime civili, una risposta del governo di Tel Aviv che sta già provocando morte e distruzione nell’enclave palestinese. Eppure, ciò che colpisce dei commenti e delle reazioni di politici e governi sono la sproporzione e l’ipocrisia, che cela una colpevole mancanza di memoria.

La sproporzione si evidenzia nell’errato uso delle parole. Le parole sono importanti, tanto più quando si tratta di conflitto. Che l’attacco di Hamas sia “terroristico” è indubbio – come altrimenti definire il colpire civili inermi? Ma Hamas non ha un esercito e per quanto sia un’organizzazione armata il suo non è l’apparato militare di uno Stato. Certo, viene finanziata dall’Iran e da altri, ma essa è comunque un’organizzazione che recluta volontari, animata da un’ideologia fondamentalista ma, in ogni caso, essa non è il corpo armato di uno Stato legittimo. E non si può definire quella di Hamas un’invasione né un’occupazione militare al pari di quella russa in Ucraina, perché sono due cose oggettivamente diverse. Certo, Hamas è arrivata ad avere migliaia di combattenti, militanti che si sono arruolati, per lo più spinti dalla disperazione sulla quale è cresciuto il fanatismo. Reclutati nel chiuso di una città di 2,2 milioni di abitanti circondata da filo spinato, nella quale sono stati deportati o sono confluiti migliaia di palestinesi nel corso degli anni. Ci si dovrebbe chiedere perché Hamas abbia saputo reclutare così tanti militanti pronti a morire per una causa che è l’annientamento di Israele.

Come giustamente ricorda Luigi Ferrajoli sul manifesto di oggi, 10 ottobre 2023, «a un atto di guerra – quale soltanto gli Stati e i loro eserciti regolari […] possono compiere – si risponde con la guerra. A un crimine, sia pure gravissimo, si risponde con il diritto, cioè con l’identificazione dei colpevoli». Un atto terroristico, ancorché esteso e gravissimo, è un crimine e, per quanto compiuto da un’organizzazione con una vasta base, e ad esso si dovrebbe rispondere identificando colpevoli e mandanti. Non si può continuare ad agire nella «logica dell’11 settembre» quando, per rispondere all’efferato attacco alle torri gemelle si colpì un intero Paese, l’Afghanistan, colpevole di aver fatto da base ai terroristi. Perché quella logica, come abbiamo visto, non porta a nulla (più poté, forse, l’aver colpito i capi di quella organizzazione). E cosa si pensa di fare, ora: forse distruggere Gaza per colpire Hamas? Con i suoi milioni di abitanti?

La sproporzione è accentuata dall’equiparare l’attacco di Hamas all’invasione dell’Ucraina, compiuta dall’esercito di una potenza atomica. Perché, se anche Hamas ha mostrato una capacità militare notevole, si tratta comunque di un’organizzazione armata clandestina, ben lungi dall’avere dotazioni e mezzi come quelli di un esercito. In una situazione totalmente diversa e “squilibrata”. Se c’è uno Stato “invasore”, qui, è Israele che dal 1967 almeno occupa illegalmente territori che, come hanno certificato le risoluzioni Onu, non sono mai state riconosciute. I Palestinesi, ancorché privi di uno Stato legittimo, hanno una loro Autorità che siede all’Assemblea delle Nazioni Unite, ma non hanno un “esercito”, né lo è Hamas che, peraltro, sappiamo essere in aperto contrasto con la stessa Anp. Non si può equiparare Hamas all’esercito russo né a nessun altro esercito legittimo.

Il fatto, però, è anche che Israele non può tollerare un attacco di questa portata senza reagire. Ma qui è Israele che si è infilato in un cul de sac. L’occupare militarmente i territori al di fuori dei confini riconosciuti dagli accordi internazionali per decenni ha fomentato la reazione. Illegittima quando degenera in terrorismo, ma “comprensibile” (non giustificabile). Per quanti errori possano aver fatto i Palestinesi, dall’iniziale non voler riconoscere l’esistenza di Israele al non accettarne le legittime aspirazioni a vivere “in pace” e finanche a non accettare che Israele possa sentire sua parte di Gerusalemme – luogo santo per ebrei, cristiani e musulmani – il non aver voluto riconoscere l’Anp, il non avere voluto prendere mai sul serio il riconoscimento di uno Stato o di un territorio autogovernato dai Palestinesi, non ha fatto che dare fiato alle spinte estremistiche, tanto più inconciliabili quando fomentate da estremismo religioso. Israele si è sempre comportato come occupante, con brutalità e disumanità. I Palestinesi vivono ghettizzati, in una situazione di apartheid (come evidenziato dal rapporto di Amnesty International), circondati da muri. Con i coloni israeliani che continuano ad occupare terre, espropriandole, con la connivenza del loro governo. Districarsi ora, reagire “in punta di diritto” è chiaramente difficile. Ma solo la cecità dei governi che si sono succeduti dopo l’assassinio di Rabin, con la complicità degli Stati Uniti e dell’Europa, ha potuto far succedere questo.

Da anni ormai assistiamo allo stillicidio di ammazzamenti e distruzioni da parte di Israele, compiuti dall’esercito e dai cecchini, dai militari come dai coloni. Ci sono state le intifada, i lanci di pietre dei ragazzi palestinesi, e le conseguenti spedizioni punitive per colpire quartieri e abitazioni. Di fronte a questi, mai la reazione di Stati Uniti ed Europa è stata ferma, di univoca condanna. Ha ben ragione Tommaso Di Francesco, sul manifesto di oggi, a ricordare la prima pagina del manifesto del 7 aprile 2018 che titolava «poligono di tiro» la situazione di palestinesi che bruciano copertoni per impedire la visuale ai tiratori scelti israeliani.

Elly Schlein si è schierata con i tanti per esprimere «condanna per l’attacco terroristico di Hamas contro i civili israeliani». Avrei voluto leggere simili parole anche in altre circostanze, ma si sa, lo stillicidio di morti giornaliere di uomini, donne, ragazzi e finanche bambini, non fa notizia, tanto più quando è compiuta da regolari dell’esercito.  Non possiamo limitarci a condannare, accodarci al coro “filo-israeliano”. La sinistra deve esprimere una posizione diversa, che vada ben oltre la condanna «per riprendere il processo di pace» (Landini) che non è mai stato fermo come negli ultimi anni. Non c’è più un processo di pace, Israele, l’Anp e tutti i sostenitori parte in causa sono chiamati ora a un’iniziativa diversa. È questo che dobbiamo sostenere, più che la risposta militare per annientare Hamas (e un’intera città).

Come ricorda Mustafa Barghouti, leader della Palestinian National Initiative (un movimento in aperto conflitto con Hamas, con base in Cisgiordania), in un’intervista a Fareen Zakaria della Cnn, c’erano tutte le ragioni per aspettarsi una reazione da parte di una popolazione afflitta da decenni di occupazione brutale: «Abbiamo, noi, il diritto di lottare per la libertà?», chiede Barghouti. «Israele non può imprigionare due milioni di Palestinesi a Gaza pensando che non pagherà un prezzo», sostiene Gideon Levy su Haaretz.
Per quanto Hamas sia un’organizzazione fondamentalista e il suo sia un attacco terroristico, su vasta scala, esecrabile, inaccettabile, terribile, da condannare, è su questo che ha trovato consenso e giustificazione tra i Palestinesi. Migliaia di militanti, combattenti strappati alla loro condizione di oppressi, sono pronti ad immolarsi. Avrebbero potuto combattere per una causa giusta, non con le armi, se le condizioni fossero maturate per dar loro una speranza e una voce. Ciò non è stato e oggi noi piangiamo le vittime di entrambe le parti e condanniamo la violenza. Senza esserci opposti per anni a che questa maturasse. Colpiti da amnesia, appoggiamo Israele e l’azione violenta di chi propone, ora, «di togliere acqua, luce e cibo a milioni di “animali umani”» (così il ministro israeliano della Difesa Yoav Gallant) per rispondere alla violenza subita. Mostrando ancora una volta il colpevole disinteresse di decenni di accettazione dello stato di fatto di uno Stato che continua ad annettere territori – pensando che la sua arroganza possa continuare impunita – e di un popolo che di un suo Stato e un suo territorio viene costantemente privato.

L’autore: Pier Giorgio Ardeni è professore ordinario di Economia politica e dello sviluppo all’Università di Bologna

Nella foto: frame di un video sull’attacco israeliano a Gaza