Ottanta anni fa avveniva la razzia degli ebrei romani ad opera dei nazisti aiutati dai poliziotti fascisti. Verranno tutti deportati ad Auschwitz, da cui faranno ritorno solo in 16, tra cui una sola donna e nessun bambino.
Dal 25 luglio 1943, giorno della caduta di Benito Mussolini, all’8 settembre 1943, giorno della comunicazione dell’avvenuto armistizio con gli Alleati, passarono in tutto 45 giorni nel corso dei quali il nuovo governo italiano fu guidato dal generale Pietro Badoglio. Durante questi giorni, le organizzazioni internazionali ebraiche, in vista dell’imminente invasione nazista del nord e centro Italia, fecero pressioni al governo Badoglio affinché facesse trasferire tutti gli ebrei che si trovavano nella penisola italiana, nel sud Italia, dove sarebbero stati al sicuro. Il governo però non approvò il trasferimento richiesto, tuttavia era ben conscio del pericolo, e mentre abbondonava gli ebrei in balia dei nazisti, organizzò il trasferimento al sud per se stesso e per la casa reale. Inoltre, nonostante le insistenze dell’Unione delle comunità israelitiche, il governo Badoglio si rifiutò di distruggere le liste del censimento degli ebrei italiani del 1938 aggiornate nel 1942. Questa scelta viene giustamente definita da Giacomo Debenedetti, nel suo 16 ottobre 1943, come «criminosa responsabilità». Infatti proprio grazie a questi elenchi, i fascisti della Repubblica sociale italiana e i nazisti, riuscirono a individuare, catturare e deportare gli ebrei con molta più facilità.
Dopo l’8 settembre 1943 i tedeschi occuparono Roma, tuttavia venne deciso che il territorio sarebbe stato amministrato dalla Rsi. A Roma il 25 settembre, Herbert Kappler, maggiore delle SS e comandante della Polizia di sicurezza della capitale, ricevette, direttamente da Heinrich Himmler, l’ordine di catturare e deportare gli ebrei romani. Il giorno seguente Kappler fece convocare e ricevette, presso l’ambasciata germanica, il presidente della comunità israelitica di Roma, Foà, e il presidente dell’Unione delle comunità israelitiche italiane, Dante Almansi. A questi Kappler impose la consegna di 50 kg d’oro entro le ore 11 di martedì 28 settembre, in caso di inadempienza sarebbero stati catturati e deportati in Germania 200 ebrei. Quel martedì mattina tale quantitativo di oro era stato raccolto, anche grazie ai cristiani cattolici, già prima delle ore 11, ma venne chiesta e ottenuta una proroga fino alle ore 18. Tuttavia la consegna dell’oro non bastò, e la mattina seguente reparti delle SS fecero irruzione nel Tempio Maggiore e nei locali della Comunità, depredarono tutto ciò che trovarono compresi archivi, documenti, registri e i due milioni liquidi avanzati dalla raccolta dell’oro. Naturalmente non mancarono di requisire la documentazione necessaria a rintracciare tutte le abitazioni degli ebrei romani. L’11 ottobre nei locali della Comunità, accompagnato da una scorta di SS, arrivò un ufficiale delle SS cultore di paleografia e filologia semitica. Questi dopo un’ispezione fece requisire l’intera biblioteca del Collegio rabbinico di Roma e della Comunità, contenenti cataloghi preziosissimi ormai andati perduti. La cattura degli ebrei in Italia sarebbe stata gestita dalla sezione IVB4. A Roma per gestire la cattura e la deportazione degli ebrei fu inviato, assieme a un reparto speciale delle SS, l’SS-Hauptsturmführer Theodor Dannecker, il quale aveva la fiducia di Adolf Eichmann e aveva esperienza di rastrellamenti e deportazioni in Francia. Questi, dopo essersi occupato del rastrellamento degli ebrei di Roma, nei mesi successivi si occuperà, con l’aiuto della polizia locale, dei rastrellamenti di: Firenze, Siena, Montecatini Terme, Bologna, Torino, Genova e Milano. Nel gennaio 1944 verrà sostituito dall’SS Friedrich Bosshammer. Questi verrà arrestato nel 1968 e condannato all’ergastolo da un tribunale tedesco nel 1972, tuttavia morirà poco dopo. Theodor Dannecker invece verrà catturato dagli Alleati nel 1945, e morirà lo stesso anno pochi giorni dopo la cattura suicidandosi.
Alle ore 5.30 di sabato 16 ottobre, i camion tedeschi arrivarono non solo nell’ex ghetto ma in tutta la città. Raggiunsero tutte le abitazioni grazie alle liste col censimento degli ebrei suddivise per quartieri, per edifici e per interni, grazie all’aiuto dei poliziotti italiani guidati dal commissario Raffaele Alianello, colui che in seguitò compilò le liste dei condannati per le Fosse Ardeatine. Quando le SS trovavano i portoni delle case chiusi, se li facevano aprire dai poliziotti italiani. La razzia si concluse prima delle ore 14. Quel giorno per preparare la retata anche da un punto di vista dell’opinione pubblica, il quotidiano romano Il Messaggero pubblicò l’editoriale antisemita “Il nemico numero uno”. In tutto su 10-13mila ebrei presenti a Roma, ne vennero catturati 1.259, un terzo dei quali nell’ex ghetto di Roma. Le persone vennero trasportate nel grande spazio del Collegio militare, in via della Lungara. La maggioranza degli ebrei riuscì a nascondersi e a mettersi in salvo, tra le altre cose, grazie al fatto che la notizia del rastrellamento si sparse velocemente in città. Nelle ore seguenti vennero liberati i figli e i coniugi di matrimonio misto, tuttavia non fu merito del Vaticano bensì di un ordine proveniente da Berlino prima della razzia. In questo modo al Collegio militare rimasero 1.023 ebrei.
Tornando al Vaticano, quel giorno assieme a Papa Pio XII non manifestò nessuna protesta pubblica verso i nazisti contro il rastrellamento e la deportazione degli ebrei. Per tutta la durata della seconda guerra mondiale, Papa Pio XII non prese mai posizione in difesa degli ebrei, rimanendo quindi sempre indifferente e in silenzio. A differenza sua, molti esponenti ed istituti della chiesa cattolica svolsero azioni di aiuto e protezione verso tanti ebrei. Nel dicembre 1943 la Santa Sede e Papa Pio XII erano stati informati dell’eliminazione degli ebrei romani ad Auschwitz, infatti padre Palazzini, addetto alla cura dei rifugiati durante l’occupazione tedesca a Roma, lo disse a Michael Tagliacozzo (che divenne poi uno storico dell’Olocausto ndr). Nonostante ciò, come già detto, non ci fu nessuna presa di posizione. Inoltre bisogna sottolineare che Papa Pio XII fin dal 1942, era informato su quanto stesse succedendo da due Nunzi apostolici, e dalle note informative inviategli da Myron Taylor e Ronald Campbell, rappresentanti diplomatici americano e inglese al vaticano. I due Nunzi apostolici erano mons. Bernardini in Svizzera, che riceveva informazioni dettagliate dalle Organizzazioni ebraiche per poi ritrasmetterle subito, e Angelo Roncalli, futuro Papa Giovanni XXIII, allora in Turchia. Inoltre una recente scoperta di Giovanni Coco, archivista e ricercatore all’Archivio Apostolico Vaticano, che ne ha parlato su La lettura del Corriere della Sera, dimostra che Papa Pio XII sapeva. Si tratta di una lettera, datata 14 dicembre 1942, di Lothar König, un gesuita tedesco antinazista, nella quale rivolgendosi al segretario di Papa Pio XII, padre Robert Leiber, parla dell’uccisione di massa degli ebrei da parte dei nazisti facendo esplicito riferimento al forno crematorio delle SS nel lager di Bełzec, e inoltre menziona anche il campo di concentramento di Auschwitz. Questa lettera dimostra come il Pontefice fosse a conoscenza della Shoah ma rimase indifferente in silenzio, mentre, nell’estate 1942, i vescovi in Francia di varie città assieme al cardinale di Lione protestarono pubblicamente contro i nazisti per le retate. In Danimarca, sempre nell’ottobre del 1943, i vescovi cristiano luterani scrissero una lettera collettiva contro i nazisti e per spingere la popolazione ad aiutare gli ebrei. Proprio in questi mesi la Santa Sede tra l’altro sta discutendo in merito alla santificazione di Papa Pio XII. Io mi chiedo: ha senso santificare la sua indifferenza e il suo silenzio? Secondo me no, e inoltre sarebbe una mancanza di rispetto nei confronti dei milioni di vittime della Shoah, ebrei e non.
L’autore: Andrea Vitello è specializzato in didattica della Shoah e graduato a Yad Vashem. Ha scritto il libro, con la prefazione di Moni Ovadia, intitolato “Il nazista che salvò gli ebrei. Storie di coraggio e solidarietà in Danimarca” (Le Lettere 2022)
Nella foto: un’anziana donna con dei bambini ad Auschwitz, Bundesarchiv Bild 183-74237-004, KZ Auschwitz-Birkenau (wikipedia)