Yuval Dag è un cittadino israeliano di 20 anni. Contrario all’occupazione israeliana della Palestina, quest’anno ha passato più di due mesi in prigione per essersi rifiutato di svolgere il servizio militare. Fa parte di Mesarvot, una rete di supporto per giovani obiettori di coscienza che si rifiutano di prestare servizio militare nell’esercito israeliano. Ci parla da un moshav nel Sud di Israele, a pochi chilometri da Gaza. Mentre parliamo si sentono le bombe che cadono sulla Striscia: una è talmente forte da far tremare i muri della sua casa. Come per tutti i cittadini israeliani, per Yuval il massacro compiuto da Hamas dello scorso 7 ottobre è stato un trauma: soprattutto dal momento che conosceva personalmente diverse persone uccise dai miliziani di Hamas. Ma come oppositore dell’occupazione e difensore dei diritti umani dei palestinesi, è convinto che bombardare e mettere sotto assedio Gaza non sia la soluzione.
Dag, qual è la sua posizione, e la posizione di Mesarvot, sull’escalation di violenza iniziata lo scorso 7 ottobre con l’attacco di Hamas, e continuata con il bombardamento della Striscia di Gaza da parte di Israele?
Come Mesarvot riteniamo che ciò che Hamas ha compiuto sia semplicemente orribile, riprovevole e da condannare fermamente. Condanniamo ciò che è accaduto e non lo riteniamo in alcun modo giustificabile. Ma pensiamo anche che sia necessario guardare al contesto storico e considerare l’assedio che Israele ha imposto su Gaza per anni, e riteniamo che anche i bombardamenti su Gaza siano altrettanto orribili e da condannare. Condanniamo l’uccisione di vite innocenti in qualsiasi luogo. Al contempo conosco persone che sono state uccise nell’attacco di Hamas, e vedo l’attacco come il nostro 11 Settembre. Ma, ripeto, credo che sia molto importante guardarlo in un contesto storico: stiamo parlando di una popolazione, quella di Gaza, in cui la maggior parte dei bambini ha una diagnosi di PTSD [uno studio del 2021 ha rivelato che il 91% dei bambini di Gaza soffre di qualche forma di trauma legata al conflitto], che vive senza acqua potabile. E che ciò che i palestinesi di Gaza chiedono non è qualcosa di radicale. Nessuno vuole vivere in quelle condizioni. Per questo credo che parte di questo sangue grondi dalle mani del governo israeliano e dell’occupazione. Penso anche che non si risolverà nulla con un’altra Nakba, come quella che è in corso a Gaza.
Quanto ad Hamas?
Hamas rappresenta un lato estremo della lotta per la liberazione della Palestina, non rappresenta tutto quello che è la lotta per la Palestina, e molti palestinesi condannano ciò che ha fatto Hamas. Per questo motivo credo che, per quanto l’attacco di Hamas sia stato brutale e disumano, non toglie legittimità e rilevanza alla lotta di liberazione.
In una dichiarazione che Mesarvot ha pubblicato su Instagram dopo il massacro compiuto da Hamas, avete scritto «non era inevitabile che questo succedesse». Come persona che vive lì, che ha visto la situazione svilupparsi per anni, cosa pensa che si sarebbe dovuto fare per evitare l’attacco di Hamas? E chi avrebbe dovuto farlo?
Per quanto mi riguarda è molto chiaro che se non avessimo creato le condizioni che ci sono state per anni a Gaza, se non avessimo creato questo orribile esperimento che è Gaza in cui è inconcepibile come si possa vivere, non avremmo subito queste enormi conseguenze. E non era affatto necessario imporre queste condizioni su Gaza. In Israele, ribadiamo continuamente l’importanza della sicurezza (il concetto di bitahon). Ma l’esercito non porta sicurezza, perché le politiche dell’esercito, sia a Gaza che in Cisgiordania, portano violenza e distruzione: e di rimando poi l’occupazione danneggia anche gli israeliani, ed è una situazione completamente fabbricata da noi. Quando si costringono le persone a
vivere in condizioni così estreme, accadono cose estreme. Questo non le giustifica, ma dice che anche noi abbiamo una responsabilità, e che sì, avremmo potuto evitarle. Nessuno ha tratto alcun beneficio dalla situazione in cui si trova Gaza dal 2007: su noi israeliani venivano sparati i razzi, e 2 milioni di palestinesi soffrivano ogni giorno.
Oltre a Gaza, anche la situazione in Cisgiordania è precipitata nell’ultimo anno. Qual è il contesto più ampio dell’ultimo anno in tutti i territori palestinesi e in Israele?
Da quando il nuovo governo è entrato in carica, c’è stato un forte aumento della violenza in
Cisgiordania, dove il numero di palestinesi uccisi negli ultimi mesi è altissimo. Le violenze dei coloni hanno raggiunto un livello mai visto. Da sabato, è davvero indescrivibile quello che sta succedendo lì. I coloni sono fuori controllo e stanno attaccando sia i palestinesi che gli attivisti.
E come commenta la risposta di Israele sulla Striscia di Gaza?
Gaza non ha mai subito questi livelli di distruzione. Già centinaia di palestinesi sono rimasti uccisi, ci sono mezzo milione di sfollati. Israele ha comunicato a tutti gli abitanti del nord della Striscia di spostarsi, quindi un milione di palestinesi sarà sfollato. Ci sono testimonianze dell’uso di bombe al fosforo bianco, che usate contro i civili costituiscono un crimine di guerra. E l’interruzione della fornitura di acqua, di elettricità e di carburante: gli ospedali ormai non funzionano più, quindi anche i migliaia di feriti adesso non hanno più possibilità di essere assistiti. Abbiamo detto loro di fuggire dalla Striscia passando per Rafah, ma poi abbiamo anche bombardato Rafah più volte. Ho molta paura
per Gaza, penso che siamo di fronte a una Nakba o a un Olocausto. Qualsiasi termine preferisci.
Quanta percentuale della società civile e dell’opinione pubblica israeliana mette in dubbio l’occupazione e critica l’attacco su Gaza?
Al momento, praticamente nessuno. La gente mi guarda negli occhi e mi dice «penso che dovremmo radere al suolo Gaza, non possiamo più vivere vicino ai palestinesi, devono andarsene». Ed è vero che quello che abbiamo vissuto sabato è stato terribile. Ma il punto è che noi israeliani abbiamo percepito la situazione fino ad ora come una coesistenza, pensavamo di coesistere con Gaza e con Hamas. Ma in verità solo noi esistevamo, loro non esistevano. Morivano in ogni guerra, non avevano acqua e elettricità, erano malati e traumatizzati. Ma noi pensavamo che fosse una coesistenza, e ora che Hamas ha rotto questo equilibrio gli israeliani dicono che non possiamo più coesistere. Ma non abbiamo mai coesistito.
Cosa pensa del modo in cui i media, i politici e l’opinione pubblica stanno ritraendo gli eventi, sia in Israele che negli altri Paesi?
C’è un’enorme divisione tra chi è pro-Israele e parla degli eventi, orribili, di sabato senza guardare in alcun modo a quello che abbiamo fatto e stiamo facendo noi di orribile, e chi è pro-Palestina e non vede il dolore degli Israeliani. Molti bambini sono stati e continuano a essere uccisi da entrambe le parti, e da entrambe le parti vengono usati come un modo di mostrare quanto orrendo sia il nemico, ma uccidere un bambino con una bomba non è diverso da uccidere un bambino con un fucile. E a volte il fazionismo è sottile: per esempio un articolo di BBC ha riportato il numero di israeliani che «sono stati uccisi» da Hamas e poche righe dopo il numero di palestinesi che «sono morti» per i bombardamenti. C’è un rifiuto di vedere l’umanità dell’altro lato, e questo non fa fare nessun passo
avanti. Ed è difficile parlare con persone che conosco, a cui voglio bene, e sentirli supportare una vendetta che porterà a un’altra Nakba. E chiaramente capisco il loro dolore, perché è anche il mio dolore, ma non possiamo permettere che questo dolore ci disumanizzi. Non possiamo fare quello che ha fatto Hamas perché a quel punto non saremmo in nessun modo migliori di loro. Non possiamo ricorrere al terrore, e il fatto che l’ha fatto l’altro lato non ci da la legittimità di farlo. Ma in Israele, non solo non mi riconosco più in quello che dicono gli altri, non posso nemmeno più dire con tranquillità quello che penso. Chiunque critica i bombardamenti su Gaza viene additato come terrorista e minacciato.
La spaventa quello che succederà nelle prossime settimane?
Può finire in due modi: o annientando completamente Gaza, oppure permettendo loro di vivere in quanto esseri umani come tutti. Le atrocità contro gli israeliani sono già state commesse, potremmo cercare una via diplomatica invece che commettere ancora altre atrocità. Diciamo di sostenere i diritti umani e di volere che due popoli possano vivere in pace. Ma come possiamo raggiungere questo obiettivo? Certamente non massacrando migliaia di persone e gettando bombe sui civili. La violenza, da qualsiasi parte provenga è altrettanto negativa e non raggiunge l’obiettivo.
L’autrice: Elena Colonna è ricercatrice di SciencesPo a Parigi