La capa del governo ci dice di avere dimostrato “che si potevano raggiungere risultati inimmaginabili e fare cose straordinarie senza dover essere meschini o dover prendere scorciatoie o fare cose impresentabili o dover compiacere persone impresentabili”

Viene difficile pensare che gli strateghi e i dirigenti di Fratelli d’Italia ritengano percorribile anche dopo un anno di governo la solita strategia: il vittimismo. Già l’idea di “festeggiare” i dodici mesi di governo si inserisce perfettamente nella rappresentazione di “reduci” che il partito della presidente del Consiglio Giorgia Meloni insiste nel dare alla sua compagine. È tutta una manfrina di “nonostante”, come se ogni giorno in già a Palazzo Chigi sia figlio di un’epica battaglia che solo dalle parti di Fratelli d’Italia riescono a intravedere. 

Così accade che l’assenza di Giorgia Meloni alla sua festa di partito per questioni strettamente personali diventi l’occasione per attaccare all’opposizione (sarebbe meglio dire: per opporsi all’opposizione) seguendo lo solito schema: usare un fatto privato per martellare gli avversari e se gli avversari rispondono accusarli di utilizzare il privato in politica. Anche la sorella della presidente del Consiglio, Arianna Meloni, che attacca i giornalisti non graditi è una scena facile da prevedere: da quelle parti le voci non allineate rientrano di fretta tra gli ostili da delegittimare e da abbattere, che siano giornalisti o magistrati o cantanti o scrittori.

L’anima della festa è “siamo ancora qui”, come in un malinconico ritrovo degli ultimi giapponesi che si sentono in guerra quando la guerra è terminata da un bel po’. La capa del governo ci dice di avere dimostrato “che si potevano raggiungere risultati inimmaginabili e fare cose straordinarie senza dover essere meschini o dover prendere scorciatoie o fare cose impresentabili o dover compiacere persone impresentabili”. L’analisi però non è sui risultati ma tutta sui “meschini” immaginari. 

Buon lunedì.