Da "Mi fanno male i capelli", il personale omaggio di Roberta Torre a Monica Vitti a "Tante facce nella memoria", l'intenso film di Francesca Comencini che punta a tramandare il racconto orale, tutto al femminile, sull'eccidio delle Fosse Ardeatine

La Festa del cinema 2023 diretta da Paola Malanga, proietta lo sguardo in avanti, non tralasciando però, al contempo, l’attenzione alle espressioni artistiche e ai protagonisti del passato. Si segnalano, a riguardo, all’interno della ricca sezione ‘Storia del cinema’: Callas Paris 1958, omaggio alla leggendaria soprano – nel centenario dalla nascita – che nel dicembre del 1958 esordiva all’Opéra di Parigi, evento di cui il regista Tom Volf ha recuperato, tra gli altri materiali, le bobine 16 mm; gli omaggi a Jean-Luc Godard con Film annonce du film qui n’existera jamais: “Drôles de guerres” – ultimo film realizzato dal cineasta francese -, Godard par Godard, di Florence Patarets; e i documentari Joseph Losey, l’outsider di Dante Desarthe e Chambre 999 di Lubna Playoust che, quarant’anni dopo Room 666 di Wim Wenders, torna a interrogare la nuova generazione di registi ponendo loro la stessa domanda che il cineasta tedesco, in occasione del Festival di Cannes del 1982, rivolse ai suoi colleghi: «Il cinema è un linguaggio che sta scomparendo o un’arte che sta morendo?»
Ne Il cinema, l’immortale (Einaudi editore), il regista e sceneggiatore Daniele Vicari – ospite della sezione ‘Freestyle Arts’ con il documentario Fela, il mio dio vivente, omaggio al musicista nigeriano Fela Kuti -, percorre e riflette proprio intorno ai cambiamenti e alle innovazioni che hanno travolto non solo la creazione delle immagini in movimento ma anche la loro fruizione da parte degli spettatori, dai primi memorabili esperimenti cinematografici fino ai giorni nostri, e all’avvento della serialità. Mostrando, di fatto, la sorprendente attualità di tali quesiti, attorno a cui ruotano, oltre che la serie di incontri al MAXXI, anche i panel promossi da ‘Fuori Festa’, un nuovo evento complementare della Festa del Cinema, allestito presso l’Hotel St. Regis. Protagonisti del panel, I film del futuro: sala, broadcaster o piattaforme?, il docente e giornalista de Il Foglio Andrea Minuz e lo sceneggiatore e scrittore premio Strega 2014 Francesco Piccolo. Emerge, da questo interessante confronto, innanzitutto la necessità di ri-pensare al cinema del futuro immaginandolo in fecondo e costante rapporto con il passato. Senza fratture. E, allo stesso tempo, sostenendo il cosiddetto ‘principio del progresso’, mediante il quale favorire la nuova apertura produttivo-creativa e il dialogo tra differenti prodotti audiovisivi – in questo caso, cinema e serie Tv – intercettando una sottesa e vibrante continuità di ricerca. Significativa è la sempre minore distanza tra i linguaggi, tanto da constatare la versatilità di registi, attori, sceneggiatori e produttori, che si misurano, oggi più che mai, con la realizzazione di film per la sala e, al contempo, con la creazione di serie Tv. La stessa ‘dittatura della trama’, che in molti sostengono sia stata imposta dalla serialità televisiva, in realtà rimodula – sottolinea Piccolo – le possibilità creative, ad esempio dilatando il tempo del racconto, non più costretto a rispondere alle limitazioni della durata. Auspicabile, inoltre, soprattutto per le piattaforme generaliste, una maggiore attenzione al palinsesto, affinché – conclude Minuz – possano concorrere a ‘formare’ la cinefilia delle nuove generazioni, non ancorandola solamente all’offerta audiovisiva del presente.

A rimarcare il rapporto tra presente e passato anche uno dei diciotto titoli in concorso, nella sezione ‘Progressive Cinema’, Mi fanno male i capelli di Roberta Torre. E lo fa attraverso la storia di una donna, Monica (una delicatissima e intensa Alba Rohrwacher), affetta da un grave disturbo della memoria che la costringe in uno spazio nebuloso e senza tempo nel quale la realtà subisce una progressiva alterazione. Emblematico è l’incipit del film quando lo spettatore sembra condividere la medesima visione distorta di Monica e il suo stesso disorientamento: «Io credo di essermi persa». Suo marito, Edoardo (Filippo Timi), cerca invano di ancorare la donna alla realtà ma finirà ben presto per essere coinvolto nelle ‘rappresentazioni’ che la donna gli propone, ogni volta identificandosi con un personaggio interpretato da Monica Vitti.
«Ho l’impressione di scordarmi ogni giorno qualcosa»: sono le parole prese in prestito a Valentina (Monica Vitti) durante l’incontro notturno alla festa con lo scrittore Giovanni Pontano (Marcello Mastroianni) nel film di Michelangelo Antonioni, La notte (1961). E, ancora, c’è Giuliana de Il deserto rosso (1964), la nebbia che confonde la donna divenendo, da elemento esterno, interiore, fino all’incontro finale con il marinaio turco, durante il quale la donna confessa di essere stata malata.
Nel film di Roberta Torre il racconto della memoria intima e perduta di Monica – sostenuta dalle poetiche sonorità delle musiche originali di Shigeru Umebayashi, compositore di colonne sonore indimenticabili, come quella del film In the Mood for Love di Wong Kar-wai – diventa pretesto per esplorare un discorso ben più ampio sulla memoria collettiva, storica, sul futuro del linguaggio cinematografico appunto. Tuttavia, l’eccedenza di sovrapposizioni, di rimandi, di digressioni e di ritorni al punto di partenza sembrerebbe allontanare tale riflessione dall’individuazione di possibili tentativi di ricerca (sull’immagine cinematografica), e di cura (per la malattia) che lo stesso Edoardo fatica ad intercettare.
Tra gli altri titoli in programma, sempre nella sezione ‘Progressive Cinema’, il film spagnolo di Isabel Coixet, Un amor, Achilles, opera prima di Farhad Delaram che racconta la fuga, attraverso il territorio iraniano, di un ex cineasta e di una prigioniera politica internata in un ospedale psichiatrico, Black Box della regista turco-tedesca Asli Özge, prodotto dai fratelli Dardenne, Un silence di Joachim Lafosse con Daniel Auteil e Emmanuelle Devos, e l’atteso esordio alla regia di Paola Cortellesi, C’è ancora domani.
Altro esordio italiano – questa volta all’interno della sezione ‘Grand Public’ – è quello di Michele Riondino con Palazzina Laf, «la storia di uno dei più famigerati “reparti lager” del sistema industriale italiano» all’interno del complesso dell’Ilva di Taranto.

Wanted è il titolo del film di Fabrizio Ferraro che, presentato all’interno della sezione ‘Freestyle’, propone a sua volta una ulteriore riflessione sul linguaggio e sul genere cinematografico, attraverso le storie di tre donne (interpretate da Chiara Caselli, Denise Tantucci e Caterina Gueli), superstiti in un mondo distopico e inospitale. Presidi, cellule, piani di fuga, deportazioni: tutti gli indizi disseminati nel racconto sembrano ruotare intorno alla ricerca della verità, durante lunghi ed estenuanti interrogatori che si svolgono nelle sale doppiaggio di Cinecittà, dove i Teatri 2 e 5 sono adibiti, invece, a celle di detenzione.
Ricerca della verità, dunque, ma anche ricerca di nuove storie da raccontare, di nuovi incalzanti interrogativi sul tempo presente, di nuove sfide da opporre alla stasi creativa e sperimentale, come la voice over del film ingannevolmente propone: «continua a svolgere la vita di sempre, non modificare le tue abitudini […] comportati come se non stesse accadendo nulla.» Esemplare è la didascalia finale che intima, probabilmente, a mantenere viva la ‘luce’ nello sguardo: «because Nothing had no hand to switch off the light» (Allen Ginsberg).

La pitturessa Nagasawa

Ospiti della Festa anche due originali ritratti d’artista presentati nella sezione ‘Freestyle Arts’: Grandmother’s Footsteps di Lola Peploe che racconta la storia di sua nonna, la pittrice Clotilde Brewster Peploe che visse tra l’Italia e la Grecia e fu madre degli sceneggiatori e registi Clare e Mark Peploe; e la La pitturessa di Fabiana Sargentini che, mediante uno stile immediato, rigoroso e, allo stesso tempo delicato, ripercorre la vita artistica di Anna Paparatti, sua madre, intrecciandone le vicende più intime e private, con quelle degli ultimi cinquant’anni di storia dell’arte contemporanea italiana e internazionale.
Nata e cresciuta a Reggio Calabria, Anna si trasferisce a Roma per frequentare l’Accademia di Belle Arti dove segue i corsi di Toti Scialoja, per poi divenire la straordinaria protagonista – come ribadisce Pizzi Cannella – degli eventi della galleria d’arte contemporanea L’Attico, in via del Paradiso 41 a Roma, crocevia di artisti ed espressioni avanguardistiche che si distinse negli anni Sessanta e Settanta per la sua vivacità e i suoi slanci innovativi.
Si snodano, nella memoria della pittrice ricordi e aneddoti legati alla sua casa romana di via del Babuino 176, all’incontro con Julian Beck e il Living Theatre nel 1965, e in particolare con lo spettacolo Misteries and Smaller Pieces; alla storia d’amore con Fabio Sargentini – fondatore nel 1957, insieme al padre Bruno, de L’Attico -, di cui è stata storica compagna, fino alla nascita di sua figlia e ai i viaggi in India: tutto rivive nelle parole e nello sguardo di Anna. E, sopra ogni cosa, a risplendere è la creatività quale linfa salvifica per intercettare quello spazio intimo, solitario e necessario alla ri-creazione di immagini e affetti legati alla propria storia personale: «mia madre non mi amava» è la schietta e diretta dichiarazione di Anna.
Nel 2021 la gallerista Elena Del Drago organizza una sua mostra a Roma e la direttrice artistica di Dior, Maria Grazia Chiuri, le propone di curare le scenografie delle sfilate della Maison Dior, utilizzando i suoi quadri geometrici degli anni Sessanta: Pop-oca, Le jeu qui n’existe pas, Il gioco del non-sense e Il grande gioco (che venne utilizzato anche per la scenografia del film del 1967 di Luciano Salce, Ti ho sposato per allegria, con Monica Vitti).
Un ritratto intimo e ironico capace di far affiorare la forza di una donna e di un’artista che non smette, a 87 anni, di sorprendere. Anche se stessa.

La chimera di Alice Rohrwacher e The Zone of Interest di Jonathan Glazer (Gran premio Speciale della Giuria all’ultima edizione del Festival di Cannes) sono, invece, due tra i titoli selezionati nella sezione ‘Best of 2023’, che sono stati precedentemente presentati, con successo, nell’ambito di importanti festival internazionali.

«Non so se si possa chiamarlo teatro, il teatro è per me un luogo troppo sacro per avventurarmici davvero. Lo prendo in prestito, per una volta, per dare gambe a parole che secondo me devono continuare a camminare, anzi, correre, dentro la memoria e la vita di tutte e tutti noi.» Tante facce nella memoria è lo spettacolo teatrale, scritto insieme a Mia Benedetta – anche interprete -, che Francesca Comencini porta sul grande schermo; e che viene presentato alla Festa del Cinema all’interno della sezione ‘Special Screenings’.
A partire dai testi tratti dalle registrazioni che Alessandro Portelli ha raccolto tra il 1997 e il 1999 intorno all’eccidio delle Fosse Ardeatine a Roma, Tante facce nella memoria ripercorre, attraverso le voci di sei donne, quei tragici avvenimenti che portarono alla morte 335 uomini, fucilati e interrati in una fossa comune il 24 marzo del 1944.
Mogli, figlie, partigiane che, con crescente intensità, riportano alla luce non solo i fatti, ma anche l’intimo sentire, talmente vivido e palpabile da affiancare al ricordo della descrizione di quanto accaduto l’immagine di un cielo coperto, buio, in attesa del temporale – anche se nella realtà la giornata era stata molto bella – poiché «faceva parte di una sensazione che mi aveva preso l’anima». Sono le storie di Lucia Ottombrini, Carla Capponi, Marisa Musu, Ada Pignotti, Vera Simoni, Gabriella Polli.
La voice over delle reali protagoniste delle testimonianze, nell’incipit dello spettacolo, cedono il passo ad altre voci, quelle di Lunetta Savino, Carlotta Natoli, Simonetta Solder, Chiara Tomarelli, Bianca Nappi e Mia Benedetta. Un passaggio di consegne a decretare l’importanza e la necessità della memoria che – come ricorda Ascanio Celestini – «è una drammaturgia, una riscrittura del passato…qualcosa che serve a ricordare a me in quale presente vivo». E Celestini, proprio a partire dal libro dello stesso Alessandro Portelli – L’ordine è già stato eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria (Donzelli editore, 1999) -, mise per la prima volta in scena nel 2000 uno dei suoi spettacoli più intensi, Radio Clandestina.
Sulla scena di Tante facce nella memoria, insieme alle interpreti sedute una accanto all’altra, l’audacia di parole consegnate con coraggio e ostinata resistenza, perché «noi dobbiamo raccontare», sostiene con forza Carla Capponi (partigiana, Medaglia d’oro al valore militare), per ri-trovare in quelle parole la spontaneità dell’abbraccio, una memoria non solo istituzionale ma autentica. Una memoria che divenga pensiero, lotta dell’umano contro il disumano: «il fascismo ci ha impedito di pensare».
Dopo il ritmo incalzante della memoria di fatti e sensazioni, ecco giungere un sogno, un invito a restare umani: tutto è ricoperto d’acqua e si sta aggrappati in cima a una quercia galleggiante; ci sono, nell’acqua scura, il corpo esanime di una mucca gonfia e un bambino: bisogna buttarsi e nuotare. Per salvarsi.

A vent’anni dall’anteprima al Festival di Cannes, e grazie alla collaborazione tra Alice nella Città e Cinecittà, ospite della Festa anche il restauro dell’opera prima di Costanza Quatriglio, L’isola. Davanti allo scorrere delle immagini sembra di intercettare molto di quanto ricercato tra queste pagine, e di quanto difeso e promosso da quest’ultima ricca edizione della Festa del Cinema: un semplice ritorno al passato? oppure un fecondo e necessario dialogo con esso?
La storia di Teresa (Veronica Guarrasi) e Turi (Ignazio Ernandes), cresciuti in una famiglia di pescatori sull’isola di Favignana, è il delicato racconto senza tempo degli impercettibili – seppur repentini – cambiamenti che accompagnano gli importanti passaggi dall’infanzia all’adolescenza, dove autobiografia ed elementi di finzione si incontrano in una danza poetica e visionaria, insieme alle musiche di Paolo Fresu. Dall’odore acre della mattanza al vento che scompiglia i capelli, all’aria salata che pervade acqua e terra, il film è un inno alla gioia di vivere, alla libertà, al coraggio finanche di abbattere imponenti muri che impediscono la vista del mare. Ma, soprattutto, è – a vent’anni di distanza – un invito alla ri-scoperta di un linguaggio che sappia raccontare il presente ma, allo stesso tempo, proporre la fondamentale ricerca sulle immagini, sulla loro capacità di rappresentare e veicolare idee, pensiero, dinamiche e affetti.
«Quando i tonni vengono dalle nostre parti, noi caliamo ‘l’isola’. ‘L’isola’ è formata da diverse reti che chiudono il mare per il quale i tonni devono passare. Reti che formano delle pareti che dal fondo del mare affiorano a pelo d’acqua, mentre toccano il fondo mediante i contrappesi di tufo: ‘i rusasi’.» Andare a fondo e poi riemergere: che sia questo il possibile e auspicabile incontro? ‘Isola’ e ‘rusasi’. Cinema e poesia. Immagine e linguaggio. Ricerca.

Dove e quando
L’Auditorium parco della musica di Roma, la Casa del cinema, il Teatro Palladium, le sale del cinema Giulio Cesare, del nuovo cinema Aquila e del cinema nuovo Sacher sono soltanto alcuni tra gli innumerevoli spazi che ospitano la 18esima edizione della Festa del Cinema di Roma che, fino al 29 ottobre, anima la capitale. Non solo una festa di proiezioni, ma anche –  sottolinea il presidente della Fondazione Cinema per Roma Gian Luca Farinelli – una festa di incontri, che si svolgeranno quotidianamente presso il MAXXI: una serie di dialoghi tra professionisti del settore sul futuro del cinema italiano.

In apertura un frame del film l’Isola