Il magistrato Giuseppe Bronzini commenta i recenti pronunciamenti della Suprema Corte che ha annullato alcuni Contratti collettivi nazionali di lavoro perché la retribuzione prevista non era conforme ai principi sanciti dalla Costituzione
Con Giuseppe Bronzini, già presidente della sezione lavoro della Corte di Cassazione e segretario generale del Movimento europeo, approfondiamo il tema delle sentenze della Suprema Corte in merito ai “salari indecenti”, come li ha definiti in un suo recente saggio su LavoroDirittiEuropa.
Dottor Bronzini, le 4 sentenze della Cassazione sul salario minimo costituzionale rappresentano una svolta storica dal punto di vista del diritto del lavoro?
Secondo me sì, perché prima la giurisprudenza era molto rispettosa della contrattazione collettiva e tendeva a valorizzare i contratti, ad estenderne l’applicazione, non ad annullarli. Sappiamo che non c’è l’erga omnes, il Ccnl vincola solo gli aderenti alle associazioni che l’hanno stipulato. Quindi la precedente giurisprudenza della Cassazione tendeva ad applicare il Ccnl anche quando le parti non avessero stabilito uno specifico contratto, oppure quando era applicato un contratto inidoneo, tale da non garantire la sufficienza della retribuzione e tendeva a sceglierne un altro. Con queste sentenze in sostanza viene dichiarata la nullità dei contratti anche se sono stati stipulati dai sindacati più rappresentativi. E in tutti e 4 i casi i sindacati erano quelli, si dice, comparativamente più rappresentativi, il giudice dichiara la nullità dei contratti e poi dovrebbe integrare i trattamenti minimi scegliendo una serie di parametri.
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