Siglato l'accordo con la colazione di sinistra Sumar, il leader del Psoe è a favore della legge di amnistia per la Catalogna. Lo scoglio potrebbe essere però la politica estera, che i partiti più di sinistra giudicano fin qui subalterna alla Nato e agli Usa. Ma questo è un punto che non riguarda solo la Spagna ma tutta Europa

“In nome della Spagna, nell’interesse della Spagna, in difesa della convivenza tra gli spagnoli, difendo oggi l’amnistia in Catalogna per gli eventi degli ultimi dieci anni”. Pedro Sánchez, presidente del governo ad interim e candidato del Psoe all’investitura, ha esplicitamente difeso una legge per l’amnistia per tutte le persone coinvolte nello svolgimento del referendum e nella dichiarazione unilaterale di indipendenza della Catalogna nel 2017. Lo ha fatto durante un intervento al Comitato federale del suo partito. Sánchez ha difeso l’amnistia sulla base della necessità di formare “un governo progressista” di fronte alla “battuta d’arresto” che una coalizione tra Feijóo dei Popolari e Abascal di Vox comporterebbe, e soprattutto per chiudere definitivamente la frattura politica vissuta in Catalogna dopo il processo giudiziario agli indipendentisti.
È una decisione dettata dall’aritmetica parlamentare definita dalle ultime elezioni politiche. “È cambiato qualcosa nella realtà che giustifica un cambiamento da parte nostra? La risposta è semplice: sì. Le elezioni del 23 luglio” e ha aggiunto “Ci sono 56 deputati che chiedono una amnistia per sostenere l’investitura. È la condizione per avere un governo progressista. Il programma elettorale può essere identico al programma di investitura solo quando un partito raggiunge la maggioranza assoluta. Ma non è questo il caso, e il nostro programma di governo deve includere richieste di altri gruppi politici”. Soprattutto è l’unica condizione per ottenere il sostegno degli indipendentisti alla sua rielezione a presidente del governo.
Nello stesso giorno arrivano le parole della vicepresidente del governo e leader di Sumar, Yolanda Díaz, che dà per scontato che l’investitura di Pedro Sánchez avverrà “tra pochi giorni” e che ci sarà un governo di coalizione con i socialisti. Non si può tornare indietro. Sánchez ha fatto il passo definitivo, quello che molti gli chiedevano da settimane.
È solo di qualche giorno fa la firma di Pedro Sánchez e Yolanda Díaz sull’accordo di governo per i prossimi quattro anni. Un programma che contiene più di 230 diverse misure per definire le linee guida per la legislatura. Certo c’è una tabella di marcia, ma un governo, al momento, non esiste. Per ora a sostegno dell’investitura del leader socialista, ci sono 158 voti sicuri – 121 del Psoe, 31 di Sumar e 6 di EH Bildu i nazionalisti baschi -, mancherebbero 17 voti necessari per raggiungere la maggioranza assoluta o, nel peggiore dei casi, almeno 14 per superare i 171 sufficienti in una seconda votazione del Congresso per portare a casa il prossimo governo e evitare altre elezioni politiche che potrebbero vedere il ritorno delle destre. Ma ci sono ragioni per essere ottimisti e il programma con il piano per combattere la disoccupazione giovanile, l’aumento del salario minimo e la riduzione dell’orario di lavoro a 37,5 ore settimanali, “senza riduzione del salario”; l’aumento del patrimonio edilizio pubblico, l’aumento degli obiettivi climatici della Spagna e una riforma fiscale volta ad aumentare il contributo dei gruppi bancari ed energetici alla spesa pubblica, è un accordo che può funzionare e comunque un passo importante per la formazione del nuovo governo basato sulla coalizione delle due sinistre.
Ma se è indispensabile strappare il consenso dell’insieme delle forze autonomiste o dichiaratamente indipendentiste che agiscono in Catalogna, in Galizia, nella Comunità Valenziana e nei paesi Baschi, forse si comprende meglio la scelta dell’amnistia.
Podemos ha annunciato che nei prossimi giorni sottoporrà l’investitura di Pedro Sánchez al voto dei suoi membri, perché “Tutte le decisioni importanti di Podemos vengono prese dagli iscritti”. Ultimamente il partito viola ha criticato la mancanza di ambizione del Psoe e dei leader di Sumar, coalizione di cui fanno parte, nel negoziare il patto di governo e non ha valutato il documento d’accordo di cui, sostengono, non erano a conoscenza. Tuttavia, finora, né in pubblico né in privato, la leadership ha messo in discussione il sostegno all’investitura. Lo stesso ex vicepresidente Pablo Iglesias lo ha dato per scontato la scorsa settimana in televisione.
Anche i militanti del Psoe sono chiamati a una consultazione, Sánchez ha inviato loro una lettera chiedendo di sostenere il patto di governo con Sumar e i negoziati con i partiti nazionalisti e indipendentisti per ottenere la sua investitura, nella lettera ha ribadito che l’amnistia per gli accusati del processo pro-indipendenza è “la strada giusta”.

Come preludio al sostegno degli indipendentisti all’investitura di Pedro Sánchez, il segretario organizzativo dei socialisti, Santos Cerdán, numero tre del partito, è volato a Bruxelles per incontrare l’ex presidente catalano Carles Puigdemont, proprio in coincidenza con il sesto anniversario dell’espatrio in Belgio dell’ex presidente della Generalitat. La foto con Puigdemont, scattata in una saletta del Parlamento europeo, anticipa un imminente accordo tra Junts per Catalunya e Psoe in attesa della decisione di Erc, la sinistra repubblicana catalana. Questa istantanea dell’incontro, a cui la destra ha reagito a raffica, rappresenta anche il riconoscimento pubblico da parte del Psoe di Puigdemont come interlocutore politico dopo anni di contrasti e dichiarazioni che lo screditavano.
Pedro Sánchez, di fatto, è disposto a fare tutti i passi necessari, anche quelli simbolici, per trovare un accordo legislativo che non si limiti alla sua investitura, cioè cerca garanzie di stabilità parlamentare in un Congresso senza una maggioranza progressista. Il Psoe non è intenzionato a approvare una legge di amnistia e a dare una svolta radicale per porre fine a tutti i processi giudiziari in corso, senza la garanzia di non trovarsi, un paio di mesi dopo, in un inferno parlamentare incapace di applicare il suo programma e che finirebbe per portare a elezioni anticipate che aprirebbero nuovi varchi al disegno reazionario delle destre. Sánchez vuole stabilità e garanzie.
Tutto sembra convergere su un governo Sánchez 3, cercando di non guardare i punti deboli, in particolare quelli sulla politica estera spagnola che, con le guerre in corso, potrebbero vanificare la futura maggioranza e proprio l’unità delle sinistre. Questo non sarebbe un problema solo per la Spagna, sarebbe qualcosa che riguarda tutta l’Europa, che ha bisogno di qualcuno che la spinga a liberarsi della politica subalterna nei confronti della Nato e degli Stati Uniti.

In foto Pedro Sanchez con la moglie María Begoña Gómez Fernández, scattata da Carlos Delgado – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=66242204