I lavoratori che chiedono e difendono i propri diritti fuori dall'Italia ottengono salari migliori. Quanto al contesto italiano, basta un dato: il nostro Paese è l'unico in Europa in cui i salari sono diminuiti rispetto al 1990

Se oggi avrete la sensazione di vivere in un Paese devastato dallo sciopero e dai disservizi oppure se oggi siete convinti di non riuscire a superare l’effetto disturbante che vi procurano i lavoratori che chiedono e difendono i propri diritti potete spendere qualche minuto per aprire il finestrino e guardare un po’ più in là dell’aiuola dall’altra parte della strada. 

Potreste accorgervi che dal 2022 e per tutto il 2023 i macchinisti in Germania hanno aderito all’iniziativa sindacale che gli ha permesso di ottenere un aumento di 410 euro mensili con un una tantum di 2.850 euro esentasse. 

Oppure potreste scorgere ciò che accade in Francia dove a mobilitarsi sono stati trasporti, scuola, sanità e altri servizi pubblici che seguono gli scioperi della stragrande maggioranza delle categorie che si opponevano alla riforma delle pensioni voluta dal presidente Macron. 

Negli Usa sono stati quasi 50mila i lavoratori che hanno incrociato le braccia nel settore automobilistico. Lì nessuna precettazione e nessuna accusa di bighelloneria ai lavoratori: ai picchetti dei lavoratori si è presentato il presidente Joe Biden e perfino il suo sfidante Donald Trump. Inutile dire che il risultato in termini di salari sia stato eclatante. 

Se invece davvero non ce la fate a non guardare il contesto italiano vi è utile un dato: secondo l’Ocse, nel nostro Paese i salari reali, cioè al netto dell’inflazione, sono calati del 7,5 per cento rispetto al periodo precedente la pandemia. L’Italia è anche l’unico Paese europeo in cui i salari sono diminuiti rispetto al 1990. Altro che pregiudizio, qui è una questione di orgoglio. 

Buon venerdì.