La mostra "Africa. Le collezioni dimenticate" a Torino presenta opere “raccolte” durante esplorazioni, missioni diplomatiche ma anche trafugamenti. Conoscere il patrimonio del continente africano è fondamentale per svelare i guasti del colonialismo italiano e contrastare pregiudizi ancora persistenti
Il 5 maggio 1936 le truppe italiane comandate dal maresciallo Pietro Badoglio entravano trionfalmente ad Addis Abeba e l’annullamento dei grandi simboli dell’indipendenza etiope iniziò pochi mesi dopo l’occupazione. Nell’ottobre del 1936, fu smantellato il monumento a Menelik II; poco dopo cadde la statua in bronzo del Leone di Giuda, inviata a Roma e installata sul monumento ai caduti della battaglia di Dogali. Nel 1937, anche l’obelisco di Axum, sottratto ad uno dei siti più antichi e venerati della nazione, veniva eretto nella capitale italiana per celebrare il quindicesimo anniversario della marcia su Roma. Per la sua restituzione all’Etiopia, pur stabilita dal trattato di pace italo-etiope del 1947, ci sono voluti sessantuno anni di diplomazia e di pubblici appelli, fino al 4 settembre del 2008, lo stesso anno che vide il ritorno in Libia della Venere di Cirene, che era stata trasportata a Roma nel 1915.
L’obelisco di Axum e la Venere di Cirene: due casi celebri che ancora oggi alimentano, nella coscienza comune, l’immagine di un’Italia benevolmente orientata al rispetto dei popoli vittime dell’aggressione coloniale. In realtà, non è che l’infinitesima parte visibile di un patrimonio sommerso e dimenticato, accumulatosi nelle raccolte dei musei italiani con i primi viaggi di esplorazione commerciale alla metà dell’Ottocento, con i doni diplomatici, per lo più da leggersi nel contesto di rapporti condizionati dalle mire coloniali, e infine cresciuto in maniera esponenziale con i trafugamenti legati all’occupazione. Da tempo l’Etiopia rivendica la restituzione delle centinaia di oggetti preziosi e di manoscritti depredati dagli inglesi nel sacco del palazzo imperiale di Magdala, ora dispersi in varie istituzioni britanniche, tra cui il British Museum, il Victoria and Albert e la British Library, un caso che meriterebbe di essere portato all’attenzione internazionale al pari di quello dei bronzi del Benin, recentemente illuminato dalle ricerche di Dan Hicks. In Italia, nonostante l’attenzione crescente al fenomeno della decolonizzazione, la geografia, l’entità e la natura dei patrimoni provenienti dall’Africa rimangono ancora in larga parte oscure.
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