La crisi della rappresentanza politica e la disaffezione degli elettori possono essere superate con strumenti che favoriscano la continua partecipazione collettiva e la responsabilizzazione degli eletti. Con questa riforma invece si nega il problema e si fa un plebiscito ogni 5 anni
È bene tenere a mente che si discute, e sto scrivendo, di un disegno di legge (ddl) di revisione costituzionale ancora in bozze, anche se le finalità sono state ben fissate ed esplicitate dalla presidente del Consiglio nella conferenza stampa di presentazione del 3 novembre: «Da una parte garantire il diritto dei cittadini a decidere da chi farsi governare, mettendo sostanzialmente fine alla stagione dei ribaltoni, alla stagione dei giochi di palazzo, alla stagione del trasformismo, delle maggioranze arcobaleno e dei governi tecnici …. Il secondo di questi obiettivi è garantire che chi viene scelto dal popolo possa governare con un orizzonte di legislatura, quindi garantire sostanzialmente una stabilità del governo …». Questi due obiettivi sono da raggiungere con la revisione di quattro articoli della Costituzione. Vengono modificati l’articolo 59 per abolire l’istituto dei senatori a vita e l’articolo 88 per impedire lo scioglimento di una sola delle due Camere. L’articolo 92 viene riscritto completamente per disporre che: il presidente del Consiglio sia «eletto a suffragio universale e diretto per la durata di cinque anni», la sua elezione avvenga contemporaneamente a quella delle Camere «tramite un’unica scheda elettorale», la legge elettorale preveda «un premio assegnato su base nazionale» per garantire «ai candidati e alle liste collegati al presidente del Consiglio dei ministri il 55 per cento dei seggi nelle Camere», il presidente della Repubblica conferisca, sotto il vincolo dei risultati elettorali, «al presidente del Consiglio dei ministri eletto l’incarico di formare il governo» e nomini «su proposta del presidente del Consiglio, i ministri». Infine l’articolo 94 viene riformulato disponendo che il presidente del Consiglio eletto si presenta in Parlamento per averne la fiducia, e in caso non l’ottenga il presidente della Repubblica gli rinnova l’incarico, e se anche la seconda volta gli viene negata il Parlamento è sciolto.

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