Un certo populismo chiede di rifinanziare la sanità così com’è. Serve invece un riformismo forte che punti anche alla necessaria modifica del sistema. I costi del liberismo sanitario introdotto negli anni 90 creano problemi insostenibili
Questo articolo intende spronare complessivamente la sinistra a riflettere in particolare sul rapporto oggi più che mai problematico tra due orientamenti politici, quello “populista” e quello “riformista”. Il primo è senza dubbio un atteggiamento corrivo, poco meditato e propagandistico, quindi a rischio di rivelarsi contra sanitade.
Il secondo è esattamente il contrario, quindi pro sanitade, nella convinzione che per salvare la sanità sia necessario modificare anche le sue strutture legislative così come si sono consolidate nella realtà sociale e politica del nostro Paese, modifiche senza le quali salvare la sanità diventerebbe di fatto una impresa molto improbabile.
Oggi da quello che vedo, facendo la tara sulle chiacchiere, l’orientamento che prevale per tante ragioni a me sembra sia quello populista. Un atteggiamento che mobilita molto, che organizza financo grandi manifestazioni nazionali di piazza, che denuncia “urbi et orbi” il rischio di perdere un bene fondamentale come la sanità pubblica, ma che, come dimostra la legge di bilancio del governo, non solo non porta a casa risultati tangibili ma leggendo i sondaggi in nessun modo mette in crisi la tenuta del governo in carica. (Il manifesto 4 novembre 2023).
La riforma forte
A questa tendenza populista prevalente tenta di contrapporsi l’orientamento, visibilmente minoritario, di chi come chi scrive, propone di mettere in campo una “quarta riforma” attribuendole nei confronti del diritto alla salute e del Ssn, addirittura una funzione “salva vita”. In questo caso, se per salvare la sanità serve una “quarta riforma”, allora l’idea politica di riforma acquisisce le valenze di un cambiamento forte e urgente, cioè essenziale, non rinviabile, reso non procrastinabile dalla necessità soprattutto in questa crisi economica di “riformare le controriforme” fatte in passato, che si sono rivelate empiricamente sbagliate (aziendalizzazione e privatizzazione) e con costi a carico dello Stato nel loro complesso oggettivamente insostenibili.
Quindi di contro al populismo si potrebbe parlare di “riforma forte” pensata soprattutto per rilegittimare e ricontestualizzare gli scopi del progetto riformatore originale, cioè quelli propri all’articolo 32 della Costituzione e alla legge 833 che nei decenni passati abbiamo compromesso. “Se” la sanità oggi rischia di morire, è possibile che a farla morire siano tante cose, tutte quelle analizzate nel mio ultimo lavoro (Sanità pubblica addio, Castelvecchi), tra le quali i costi non solo finanziari ma anche sociali delle controriforme fatte in passato. Cioè è possibile che i costi del liberismo sanitario introdotto nel nostro Paese negli anni 90, oggi, nella crisi economica data, pesino come macigni creando problemi di sostenibilità. “Se” regge questa ipotesi, allora è ragionevole ritenere che oggi, nella crisi economica data, la difesa che il populismo fa del sistema che c’è, compreso le controriforme fatte negli anni 90, sia un vero pericolo per la sanità pubblica.
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