La guerra che ha come obiettivo i civili, in Palestina come in Ucraina, ci sconvolge, dice lo storico Giovanni De Luna, che nel suo nuovo libro s’interroga su cosa resta di quel Novecento che ci ha consegnato «l’ideale di una società basata sui valori dei partigiani e della Costituzione»
Quella in Medio Oriente non è l’unica guerra che sta travagliando la nostra epoca, forse è quella dalle radici più antiche. E di guerre lo storico contemporaneo Giovanni De Luna, già docente di Storia contemporanea all’Università di Torino, firma de La stampa, ha scritto molto in proposito. Ricordiamo solo Il corpo del nemico ucciso (Einaudi) del 2006. De Luna ha aggiunto un altro tassello alla sua ricerca pubblicando Che cosa resta del Novecento (Utet). «L’unica cosa che sappiamo con certezza - scrive De Luna - è che il passato che ci siamo lasciati alle spalle è il Novecento: un brutto secolo che è comunque stato il nostro, in cui abbiamo gioito, sofferto, in cui ci siamo formati, ma ora quella fase si è chiusa e con la sua fine sono cambiati il tempo e lo spazio della storia».
Professor De Luna, come scrive nel suo libro Il corpo del nemico ucciso, tra il 1990 e il 1993 si sono succedute 54 guerre e nei soli anni Novanta del secolo ci sono stati 2 milioni di morti in Afghanistan, altrettanti nel Sudan, 800mila in Ruanda, 300mila in Angola e l’elenco continua… Attualmente, nel conflitto tra Israele e Hamas, i civili sono le principali vittime. Cosa ci può dire?
Sì sembra che quello dei civili, a poco a poco sia diventato il bersaglio principe di ogni guerra. Nella Prima guerra mondiale “il teatro di guerra”, in Italia, restava confinato sul Carso, sull’Isonzo, etc… Nelle grandi città (Torino, Milano, Roma) la vita era difficile, ma la popolazione non moriva come al fronte. Dopo la Grande guerra, combattuta nelle trincee, tra sacrifici e perdite inimmaginabili, già nella Seconda, con circa 50 milioni di civili uccisi, si era allentato quello che viene definito “il principio di esclusione dal conflitto”, ossia i civili cominciavano ad essere coinvolti nelle azioni militari, trattati anche come merce di scambio ma non erano ancora l’obbiettivo principale, come sembra accadere oggi.
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