Maestra di 39 anni è rinchiusa da quasi un anno nelle carceri ungheresi. Ilaria è anche una internazionalista e antifascista, porta quindi lo stigma della diversità mostrificata nell’Ungheria di Orban

Ilaria Salis è una cittadina italiana, una maestra di 39 anni rinchiusa da quasi un anno nelle carceri ungheresi. Ilaria è anche una internazionalista e antifascista, porta quindi lo stigma della diversità mostrificata nei paesi a populismo realizzato come l’Ungheria di Orban. L’accusa che la tiene dietro le sbarre parla di aggressioni compiute insieme ad altri militanti antifascisti nei confronti di esponenti neonazisti in occasione della “giornata dell’onore”, una ricorrenza che ogni anno raccoglie nella capitale magiara migliaia di nostalgici del Terzo Reich.
Ma andiamo con ordine e prendiamola alla lontana, partiamo dalla ricorrenza che ha portato centinaia di estremisti neonazisti e neofascisti a radunarsi proprio a Budapest. Siamo nel 1945, l’Armata rossa è alle porte della capitale ungherese. Per i nazisti la difesa della città ha un valore cruciale per fermare l’avanzata verso Vienna e quindi verso Berlino. Hitler ordina di tenere la capitale fino all’ultimo uomo e le formazioni militari tedesche unite a quelle del governo collaborazionista delle “croci frecciate” (partito al potere in Ungheria in quel periodo, antisemita e filonazista) rispondono resistendo disperatamente. É un massacro. In poche ore le truppe tedesche e ungheresi vengono annientate, migliaia i morti, altrettante migliaia i feriti. Secondo gli storici, quel comando fu militarmente inspiegabile, criminale, che si aggiunge agli altri atti criminali compiuti dalle gerarchie naziste nel corso della guerra. Una strage inutile di fronte ad una vittoria dell’Armata Rossa ormai inevitabile. Eppure, quella resistenza è passata nell’immaginario della destra neonazista e neofascista del Nord e del Nord est europei come una epopea di santi e eroi, i sacrificati alla follia nazista visti come soldati a difesa dell’Europa ariana di fronte all’avanza del nemico: ieri il comunismo, oggi ogni cultura e nazionalità distante dalla purezza come concepita dai nostalgici di Hitler. Il “giorno dell’onore”, quell’11 febbraio della capitolazione di fronte all’armata rossa, dopo decenni raduna sigle e personalità del neonazismo tedesco, austriaco, ungherese, ceco, balcanico, francese ed è occasione ogni anno di episodi di violenza nei confronti dei nuovi e dei vecchi nemici dell’Europa bianca, che siano essi persone di sinistra o semplicemente provenienti da Paesi non comunitari. Ogni anno questa ricorrenza diventa l’occasione per l’estrema destra di dare la caccia all’uomo, al “diverso”.
Anche nel febbraio 2023 accadono episodi di violenza da parte di fascisti e nazisti con la reazione dei movimenti sociali locali e spesso anche di internazionalisti provenienti da altri luoghi di Europa. Ilaria è accusata, insieme ad altri ragazzi antifascisti di aggressione e lesioni verso gli appartenenti alla galassia nera che si dà appuntamento a Budapest. Viene fermata lo stesso 11 Febbraio 2023 dalla polizia ungherese mentre si trova in taxi con 2 cittadini tedeschi, Tobias E. e Anna Christina M. Le verranno contestati diversi reati e il possesso di un manganello telescopico. Nel dettaglio l’accusa parla di “lesioni da cui possa derivare pericolo per la vita” e di appartenenza a organizzazione politica criminale, una presunta rete internazionale antifascista. Nessuno dei tre è stato colto in flagranza di reato, né risultano testimoni; inoltre gli aggrediti non avrebbero sporto denuncia, mentre le lesioni risulterebbero guaribili in pochi giorni. A marzo, giugno, agosto e novembre i difensori ungheresi di Ilaria hanno presentato istanza al Giudice per richiedere che le misure cautelari fossero svolte in Italia in ottemperanza alla Dichiarazione Quadro 2009/829/GAI, ma tali richieste sono sempre state rigettate.
Per questi reati Ilaria rischia fino a 16 anni di carcere, in un Paese che tollera le esibizioni squadriste di quella che si manifesta in loco come una “internazionale nera”. Il 29 gennaio è iniziato il processo a carico suo e di altri imputate e imputati (Ilaria è stata portata in Aula con le manette e al guinzaglio).

È evidente che quanto sta avvenendo a Ilaria e agli altri antifascisti coinvolti negli arresti e nei fermi ungheresi deve interessare l’intera opinione pubblica e le sensibilità democratiche europee. Perché sul loro corpo si sta giocando una partita tutta politica che riguarda la qualità della democrazia nel nostro continente, il rapporto con i movimenti che si oppongono all’espandersi delle ideologie neofasciste e neonaziste, il tema dei diritti civili e umani. Un anno di reclusione senza processo, in condizioni estreme, un trattamento violento e di privazione dei minimi diritti umani, in presenza di una sproporzione clamorosa tra fatti contestati e pene previste, costituiscono un chiaro segnale di allarme sui rischi che corre l’Europa a populismo realizzato. Se a questo si aggiunge il fatto che ad essere inquisiti e perseguitati per le tensioni della “giornata dell’onore” sono prevalentemente i militanti e le militanti antifasciste, questo allarme assume un significato politico ancora più esplicito e chiama in causa il Governo di Viktor Orban e le sue relazioni pericolose con la destra neonazista. Viktor Orban, al potere da tempo immemore, ha dato vita a un modello avanzato di autoritarismo fatto di limitazioni ai poteri parlamentari, attacchi alla magistratura democratica e alle opposizioni, filo spinato contro i migranti, provocazioni e boicottaggi nei confronti delle iniziative europee più aperte verso i temi dell’inclusione e dei diritti civili. Ecco, in questo quadro e di questo quadro Ilaria è prigioniera. E la sua liberazione è questione che riguarda tutti e tutte.