Soprattutto di questi tempi non si fa altro che magnificare l’importanza della famiglia. E anche quando si parla di carcere, i pochi che si ricordano che per evitare la recidiva sono inutili le pene esemplari e sono invece fondamentali i percorsi di reinserimento sociale, anche in questo contesto sottolineano la centralità del ruolo della famiglia.
E la cosa è comprensibile e sensata. Uscita dal carcere una persona ha ovviamente anzitutto bisogno di un tetto sulla testa, di pasti caldi, e chi può garantirgli tutto questo, almeno in un primo momento, meglio che la propria famiglia? Certo, non tutte le persone che entrano in carcere un famiglia ce l’hanno. Per molti è troppo lontana, o si è sfaldata da tempo, ma anche tanti di coloro che, quando entrano in carcere, ancora una famiglia ce l’hanno, quando escono si ritrovano spesso del tutto soli. Perché la detenzione spesso distrugge queste relazioni familiari, facendo sì che chi esce dal carcere sia ancora più povero e solo di quando ci era entrato. Altro che reinserimento sociale.
Mantenere relazioni familiari e affettive durante la detenzione è infatti molto complicato per ragioni che, basta provare ad immedesimarsi un attimo, sono del tutto ovvie. Non ci si vede quasi mai, e quando ci si vede lo si fa in ambienti affollati, rumorosi ed inospitali, e spesso per i familiari l’accesso a questi colloqui è una corsa ad ostacoli. E ci si sente al telefono di rado e per pochi minuti. E in tutto questo l’impossibilità di avere momenti intimi e di relazioni sessuali con il proprio partner chiaramente non aiuta. Il divieto di rapporti sessuali in vigore fino a ieri insomma non si limitava a violare un diritto astratto, a privare le persone detenute (ed i loro partner, che non hanno commesso alcun reato) di una cosa bella, ma contribuiva al loro crescente isolamento e ad un destino di solitudine.
Tutto questo può apparire scontato eppure il legislatore italiano non è mai stato in grado di intervenire su questi temi, consentendo anche in italia i cosiddetti colloqui intimi, presenti invece in quasi tutti i Paesi europei, incluse le cattolicissime Polonia ed Irlanda. Lo ha fatto per fortuna finalmente la Corte costituzionale dichiarando illegittimo l’articolo 18 dell’ordinamento Penitenziario che, in materia di colloqui visivi, imponeva il controllo a vista.
La Corte con una sentenza storica ha ricordato che senza affettività, e quindi sessualità, è lesa la dignità delle persone detenute e si rischia di non rispettare la finalità rieducativa della pena. Una sessualità che la Corte, con una sentenza chiara ed esplicita, apre anche alle coppie di fatto e dunque anche alle coppie omosessuali. Seppur con alcuni limiti la Corte si rivolge all’amministrazione penitenziaria e alla magistratura di sorveglianza per rendere effettivo questo diritto.
Antigone era nel procedimento davanti alla Corte con un proprio atto di intervento, e oggi come Antigone chiediamo all’amministrazione penitenziaria di adottare al più presto le misure necessarie per l’esercizio di questo diritto, e alla magistratura di sorveglianza di farsi garante che questo accada.
Al più presto. E questo non solo per adempiere doverosamente alla sentenza della Corte, ma anche per dare un segnale positivo, ad oggi l’unico che ci si può aspettare, in un momento di grandissima difficoltà del nostro sistema penitenziario. Le carceri sono sempre più piene e i reparti sempre più chiusi, visto che si sta tornando indietro rispetto al regime a celle aperte adottato una decina di anni fa. E i contatti con i familiari sono sempre meno visto che vengono tolte le telefonate straordinarie introdotte durante la pandemia. La tensione cresce ed il clima si fa più cupo, e a questo il governo risponde introducendo il nuovo reato di «Rivolta in istituto penitenziario», che punisce severamente le condotte di «resistenza anche passiva». Insomma, la situazione si fa drammatica e ogni protesta è vietata.
Sono conseguenza anche di questo clima i 13 suicidi già verificatisi dall’inizio dell’anno. Numeri senza precedenti. Gesti di persone disperate che evidentemente non vedevano più alcuna speranza per il proprio futuro. Per alcuni di costoro forse una telefonata in più a casa, una maggiore facilità di contatto con i propri familiari, la possibilità di toccarsi ed amarsi anche dietro le sbarre, avrebbero potuto fare la differenza. Accendere un lumicino di speranza in questa stagione sempre più buia. La Corte Costituzionale ha fatto la sua parte, ora resta alla comunità penitenziaria tutta di fare la propria.
L’autore: Alessio Scandurra è coordinatore dell’Osservatorio nazionale di Antigone sulle condizioni di detenzione insieme a Michele Miravalle
Foto: Banksy art Brighton