Il Senato ha dato l’ok al ddl voluto dalla Lega e dal ministro degli Affari regionali Roberto Calderoli. Ora il testo che attua l’autonomia differenziata passa alla Camera per l’approvazione definitiva. La mission del progetto, sulla carta, è quella di decentralizzare diverse competenze: dare, cioè, alle Regioni la possibilità di decidere autonomamente su ben 23 materie e funzioni, come salute, lavoro, ambiente e istruzione. Un bambino che studia in Sicilia avrebbe una istruzione diversa da quella prevista per un bambino che studia in Lombardia. È una secessione per legge che metterà in difficoltà tutte le regioni del sud Italia, in particolare la Sicilia. La versione del centrodestra al governo della regione è che l’applicazione dell’autonomia differenziata rappresenta un’occasione per la Sicilia da non perdere, alla luce della riduzione del debito pubblico e del risanamento delle finanze della Regione che cominciano a funzionare, arrivando a parlare di conti in ordine e riduzione del disavanzo: affermazioni quanto mai azzardate per chi conosce la situazione economico/amministrativa siciliana. Alfio Mannino è alla guida della Cgil siciliana, e con lui proviamo a fare chiarezza su quanto sta accadendo.
Indipendentemente da dove si vive, per legge, abbiamo tutti gli stessi diritti, ma l’autonomia differenziata sembra annullare questo principio e dare spazio ad una secessione “istituzionalizzata”?
Si è vero, ma la cosa ancora peggiore è che avremo una sorta di Stato “arlecchino” con 20 regioni con profili istituzionali uno diverso dall’altro. Sulle 23 materie ogni regione potrà scegliere quali avocare a sé e quali no: quindi ci sarà chi si occuperà, per esempio di sanità e trasporti e chi di scuola e politiche energetiche, insomma, avremo una Stato, appunto, “arlecchino”. È chiaro, a quel punto, che anche le norme di cornice nazionale avranno una ricaduta ed una efficacia diversa da regione a regione. Sul piano sociale, economico e dei diritti avremo enormi differenze tra i territori, cosa che avrà ripercussioni anche sulla tenuta dell’unità nel nostro Paese.
Quale sarà l’impatto di questa riforma sulla Sicilia? Il percorso dei Lep (Livelli essenziali di prestazione) andava prima definito e poi finanziato se davvero si voleva dar vita ad una riforma giusta?
Dal punto di vista economico, intanto, c’è da dire che siamo in presenza di una legge che dice che il percorso si fa “a invarianza di costi” e che le risorse dell’Irpef prodotte in ogni singolo territorio rimarranno nel territorio stesso. Alla luce di questo, secondo degli studi fatti dalla Ragioneria Generale dello Stato, la Sicilia perderà 1 miliardo e 300 milioni di euro circa l’anno: un impatto disastroso per una economia già in grande sofferenza. Per quanto riguarda i Lep: non soltanto non sono stati ancora definiti ma ad oggi, al netto di tutto, non c’è alcun impegno di spesa per finanziarli. E poi la beffa delle beffe, cioè il fatto che si era ipotizzato di poter andare vita ad un fondo di compensazione, cioè il “fondo complementare” di 4 miliardi e 400 milioni di euro, che però la scorsa settimana il governo nazionale ha ridotto a poco più di 700 milioni di euro.
Passiamo alla politica regionale: qual è il suo giudizio sul governo Schifani?
Il governo della nostra Regione, all’indomani dell’approvazione della legge in Senato, si faceva forte del fatto che esistesse questo fondo compensativo e sulla base di questo giustificava, davanti ai siciliani, la sua linea. Il fondo è stato praticamente azzerato e non mi pare che il governo regionale abbia cambiato posizione e atteggiamento nei confronti di Roma. La verità è che siamo dinanzi ad una classe dirigente che è completamente subalterna a Roma ed alle sue necessità. Un governo che pensa soltanto ad allargare il suo “poltronificio”, basti pensare a come il governatore Schifani – in totale sfregio alle normative ed ai regolamenti – sta forzando la mano sulla istituzione delle Provincie o a come stanno gestendo le ambitissime nomine dei manager regionali della sanità. Inoltre, il presidente della regione Sicilia, già oggi, è commissario straordinario per il coordinamento degli interventi sull’autostrada Catania-Palermo, sulla Catania-Ragusa, è commissario straordinario per i termovalorizzatori, insomma, un sistema per creare “poltrone”. Se si va a Roma col cappello in mano per chiedere qualcosa, non si può certo avere poi l’autonomia per rivendicare diritti e opportunità per questa regione.
I 200 miliardi del Pnrr non dovrebbero servire proprio a sanare il divario tra nord e sud del Paese? E quindi, in che direzione stiamo andando?
La spesa del Pnrr oggi è ferma a poco più del 6%. Significa, questo, che siamo in forte ritardo nel mettere in campo tutte le progettualità del Piano: se a questo aggiungiamo che più di un miliardo di euro ci sono già stati tolti nella riprogrammazione, risulta chiaro che c’è una difficoltà nella gestione di queste risorse. Manca inoltre un luogo di elaborazione strategica nella locazione di queste risorse: i grandi player nazionali non stanno investendo in Sicilia, la regione siciliana si accontenta di avere le somme “parcellizzate” e non invece di investire in alcune infrastrutture importanti davvero fondamentali per la nostra terra. E ritengo che, proprio per questo, anche la grande opportunità rappresentata dal Pnrr, stia sfumando. L’Unione europea ha stanziato queste risorse per colmare il gap ma qui rischiamo, alla fine e con questa gestione, che questi gap vengano ampliati.
La classe politica dirigente di questa regione – degli ultimi 50 anni almeno – ha qualcosa da rimproverarsi?
Il fatto che, chi ha governato questa regione non è stato mai all’altezza della sfida e del mandato e che spesso ha caratterizzato l’utilizzo della spesa pubblica con una gestione clientelare e intrisa di malaffare, è un dato di fatto: ma a ruberie e sprechi non si può certo rispondere sottraendo risorse alla Sicilia ed al mezzogiorno intero. Occorre piuttosto rispondere mettendo in campo quei meccanismi virtuosi di controllo della gestione della spesa pubblica, di “indirizzo” rispetto a questa gestione. Qui però siamo in presenza del fatto che le forze di governo nazionale hanno da sempre accettato uno scambio: cioè quello di permettere di allentare la spesa pubblica affinché potesse essere una spesa pubblica che alimenta clientela e consenso, oltre che ruberie e malaffare. Questo è stato lo scambio e da qui nasce anche la scarsa autonomia ed autorevolezza delle classi dirigenti del Mezzogiorno e della Sicilia nel rivendicare invece una nuova politica economica che guarda al futuro, allo sviluppo ed ai diritti. Per tutti.
Illustrazione di Fabio Magnasciutti