Il potere dei giganti tecnologici è come quello degli antichi feudatari che facevano pagare il balzello a chiunque passasse per le loro strade. L’Europa, stretta tra i mega “feudi” Usa e Cina, può difendersi soltanto rafforzando la propria dimensione sociale
Capitalismo e feudalesimo digitale. L’idea che vi sia un’affinità tra le tecnologie più avanzate e il feudalesimo non è nuova. Morozov, noto studioso della rete, parla da tempo di feudalesimo digitale, e l’ultimo libro di Varoufakis, peraltro assai ben argomentato, si intitola Tecnofeudalesimo (La nave di Teseo). Sotto quali profili il capitalismo avrebbe generato rapporti sociali assimilabili a quelli feudali? E cosa rimane del neoliberismo, che di questa evoluzione porta in parte la responsabilità? La lotta per le libertà di commercio ha una lunga storia. La vicenda di Michael Kohlhass, il protagonista di un bellissimo racconto di Kleist, è ripresa da un fatto realmente avvenuto all’inizio del XVI secolo. Kohlhass voleva attraversare con i suoi cavalli i confini di un feudo e, dopo aver subito un’evidente ingiustizia, lotta contro un potere più forte di lui, finendo per soccombere. Non fu così per la Rivoluzione francese, il cui esito più duraturo fu proprio l’abbattimento degli ostacoli alla circolazione delle persone e delle merci, ed infine, venendo all’oggi, la libera circolazione del lavoro, delle merci, dei servizi e dei capitali costituisce il fondamento dell’Unione europea. Inutile ricordare che questa libertà è anche alla base della globalizzazione. Un importante sostegno teorico per questi sviluppi è stato fornito dalle teorie economiche di fine Ottocento, poi dai modelli di equilibrio economico generale che si studiano in tutte le università. Queste teorie ipotizzano che i singoli individui competano sul mercato in condizioni di parità e in assoluta autonomia. La società sarebbe composta da soggetti economici talmente piccoli rispetto alle dimensioni del mercato che ogni loro azione avrebbe conseguenze sociali irrilevanti. In questo modo l’interesse economico individuale diviene compatibile con quello di tutti gli altri. Peraltro è anche ovvio che se le conseguenze di ogni azione ricadono solo su chi la compie, non c’è motivo per cui il singolo non sia lasciato libero di agire. Ma perché questa ideologia ha generato un esito così antitetico a queste premesse? Il neoliberismo diffida di ogni forma di potere, sia esso quello dei sindacati, gli Stati o dei governi. L’unico potere politico che ha una sua giustificazione è quello orientato a far funzionare il mercato stesso. Viene così minato ogni strumento collettivo di difesa di quella libertà e indipendenza individuale che il mercato e l’accumulazione di ricchezza mettono a repentaglio. Ora, senza ripercorrere troppo all’indietro un percorso storico complesso e accidentato, vediamo come si è formato quel potere dei giganti tecnologici che è possibile associare al potere feudale. Internet nasce negli Stati Uniti per scopi militari alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso (come Arpanet), collegando in seguito alcuni enti e università. Grazie a questi ultimi la rete si estende offrendo poi, negli anni Novanta, la possibilità di collegare ogni angolo del globo. I pionieri della rete, spesso portatori dell’ideologia libertaria del Sessantotto, ritenevano che questi sviluppi avrebbero facilitato la comunicazione, la circolazione delle idee, l’autoorganizzazione, e avrebbero così contribuito a dissolvere gerarchie e controlli. Insomma la rete, in quanto paritaria, avrebbe rappresentato un’enorme opportunità per la liberazione umana. Sempre negli anni Novanta nacquero numerosissime imprese che tentavano di ricavare profitti dalle attività on line.

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