La testimonianza di una tutrice volontaria che negli anni ha seguito giovanissimi migranti arrivati soli nel nostro Paese. Dai centri di accoglienza alla ricerca di un lavoro
Mohammed, Edmond, Abdul, Denis e tanti altri. Nomi di fantasia e volti veri che hanno popolato e popolano il mio mondo da quando, quattro anni fa, ho cominciato l’esperienza della tutela volontaria e tutela sociale. Avevo seguito il corso di formazione a Firenze nel 2017, spinta dagli eventi intorno a me a dare un segnale in prima persona di impegno “civile”. Dopo due anni di attesa, il tribunale di Firenze mi affida Edmond un ragazzo albanese a due mesi dal raggiungimento della maggiore età. Lui è molto riservato e sfuggente, io rimango in una dimensione di ascolto e osservazione. Attraverso lui, conosco anche il gruppo di minori albanesi e kosovari con cui vive, le altre tutrici e gli operatori della struttura di accoglienza. Mi rendo subito conto che il mio ruolo è inserito in un gioco di squadra, nel quale partecipa anche il tribunale che monitora il nostro percorso. Oltre le pratiche burocratiche, la tutela per me diventa qualcosa di più: organizziamo gite al mare, feste di compleanno o di Natale, e quasi mi dimentico che questi ragazzi hanno lasciato famiglie e povertà, e che la loro missione è riscattare un destino che sembra immodificabile. Edmond intanto ottiene il prosieguo amministrativo di 6 mesi in 6 mesi perché il giudice onorario vuole assicurarsi del suo percorso, ci sono dei nodi ancora da sciogliere. Dopo tre anni, con una grande determinazione completa il percorso per diventare parrucchiere, inserendosi con un sorriso più sicuro nel mondo degli adulti. Proseguo la mia esperienza accettando la tutela volontaria di Denis: è espansivo, solare, dinamico e attivo; la tutela si trasforma in una ricerca continua di attività creative, come lezioni di chitarra, concerti di musica.

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