I minori stranieri non accompagnati che arrivano in Italia, soli e con scarse tutele, rischiano ulteriori discriminazioni a causa delle norme volute dal governo Meloni. L’inchiesta di Cecilia Ferrara e Angela Gennaro, diventa un libro sull’odissea dei giovanissimi immigrati
Si parte dai numeri: secondo il Viminale, solo nel 2023 sono giunti in Italia 17.319 minori stranieri non accompagnati (Msna). Un dato in crescita: nel 2022 erano arrivati 14mila, nel 2021 12mila. A fine dicembre 2023, comprendendo chi era arrivato prima e non aveva ancora un tutore legale, erano 23.226, secondo i dati del ministero del Lavoro e delle politiche sociali, tremila in più rispetto a dicembre 2022. Il 70,2% rientra nella fascia d’età compresa fra i 16 e i 17 anni e anche questo è un indice di approssimazione. Nel valutare i dati anagrafici si continua ad utilizzare, come strumento principale, la radiografia dei polsi, un parametro che ha margini di errore di due anni, determinato sulla base di quella che era la conformazione fisica della popolazione anglosassone negli anni Cinquanta. Inevitabile che tanti minorenni vengano considerati maggiorenni.
È uscito recentemente su questo tema un interessante volume, Perdersi in Europa senza famiglia. Storie di minori migranti di Cecilia Ferrara e Angela Gennaro pubblicato con Altreconomia. Tante le domande poste da questo lavoro di giornalismo investigativo: quali sono le rotte che utilizzano i minori stranieri non accompagnati per raggiungere l’Europa? Quali sono i pericoli che corrono? L’Unione europea è in grado di accoglierli e proteggerli? Ma soprattutto intende farlo? Le autrici operano con la rete di giornalisti Lost in Europe, che ormai da anni tenta di condurre un lavoro capillare in tutto il continente. «Il gruppo è nato nel 2017 - racconta Cecilia Ferrara - per l’impegno di due giornaliste olandesi, Geesje van Haren e Sanne Terlingen, che hanno cercato di capire in che maniera, all’epoca, almeno 10mila minori fossero spariti negli Stati dell’Ue, molti caduti nelle reti di sfruttamento o della criminalità organizzata, spesso fuggiti dai circuiti di accoglienza. Ci sono entrata partendo dalla sparizione di un minore eritreo poi finito in Gran Bretagna. Il gruppo è cresciuto lavorando in maniera crossborder, mettendo in connessione quanto avveniva fra i singoli Paesi. Affrontiamo storie di persone adescate da reti criminali che non conoscono frontiere e ci scontriamo con l’incapacità degli Stati di andare oltre i propri confini per agire in maniera unita».
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