Fatti foste per perseguire virtute e conoscenza, dice l’Ulisse di Dante che però lo precipita nell’Inferno. È da questa condanna biblica che ci dobbiamo liberare per realizzarci come essere umani insieme agli altri e fermare la guerra
Fatti non foste a viver come bruti/ ma a perseguir virtute e conoscenza. Questo dice Ulisse a Dante nel canto XXVI dell’Inferno. La realtà umana più vera sarebbe quindi quella di perseguire la conoscenza, di inseguirla, di cercarla, è la realtà della ricerca. La sete di conoscenza inesauribile, per le cose del mondo e per la realtà umana. Ulisse, l’eroe dell’astuzia e della conoscenza, si trova però collocato da Dante all’inferno. Come a dire che a realizzare la realtà umana più vera poi ci si trova puniti da dio, all’inferno, ad ardere in una fiamma eterna, bruciati come Giordano Bruno o continuamente strappati della carne come Prometeo che aveva osato rubare il fuoco agli dei. Oppure cacciati dal Paradiso terrestre per aver osato infrangere il divieto di sapere del bene e del male ovvero del buono e del cattivo. Poter distinguere, poter usare la propria sensibilità umana, non divina, per decidere se una realtà, umana o non umana, è qualcosa di buono oppure no, qualcosa da accettare, con cui avere rapporto, oppure qualcosa da allontanare da sé, da rifiutare. I poeti e gli artisti raccontano da sempre, con le loro opere e la loro vita, che la realtà umana più profonda è quella di cercare la conoscenza. E però, spesso anche se non sempre, ci hanno anche detto che questa ricerca si rischia di pagarla con la vita o con la malattia mentale. Non sarebbe concesso agli esseri umani di poter conoscere senza pagare duramente la ricerca e la conoscenza. Conoscere ciò che ancora non si conosce, comprendere, seguire quella sapienza innata negli esseri umani di cercare lo sconosciuto avendo una fiducia istintiva, senza ragione, negli altri. Avere la certezza che ci sia qualcuno simile a noi, un altro essere umano come noi ma diverso, che ci dia quella conferma che la nostra sete di conoscenza possa essere colmata, che possa realizzarsi come sapere e vedere, come aumento della propria sensibilità, un sentire e sapere dell’altro anche senza parlare. È possibile non pagare il pegno della cacciata dal paradiso per aver morso la mela della conoscenza, del saper distinguere il bene dal male? È possibile non pagare il pegno di credere al peccato originale e di pensare che non c’è possibilità di reale conoscenza e rapporto con gli altri? È possibile non credere alle stupide favole della Bibbia e scoprire che non tutte le storie che iniziano male devono finire male…

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