Secondo una spaventosa sentenza l’ingiusta detenzione di un senza tetto varrebbe il 30% in meno di un altro qualsiasi cittadino. Meno male che c'è la Corte di Cassazione

C’è voluta la Corte di Cassazione per rimediare a una spaventosa sentenza secondo cui l’ingiusta detenzione di un senza tetto valesse il 30% in meno di un altro qualsiasi cittadino. Secondo la Corte d’Appello di Milano un senza tetto con una “subalternità culturale” derivante dalla marginalità socio-economica avrebbe sofferto meno degli altri. Secondo il calcolo standard il cittadino ingiustamente detenuto avrebbe dovuto avere 235 euro per ogni giorno di carcere immeritato. Ma i 107.630 euro, sono diventati 75mila. Un taglio del 30% giustificato dalla condizione del ricorrente. Per i giudici d’Appello il prevenuto “almeno per il periodo, in cui fu sottoposto alla misura custodiale, era quella di un uomo che viveva in una situazione di accentuata marginalità socio-economica e di subalternità culturale”. Senza affetti e privo di una abitazione stabile ed è per questo che la corte di merito ha ritenuto congruo tagliare di un 30% l’indennizzo per la carcerazione patita, d’altronde l’aver vissuto in una baracca e l’assenza di un’occupazione “e di rapporti affettivi di qualsivoglia natura”, sono fattori che avevano certamente inciso molto negativamente sulla qualità della sua esistenza. Tutto questo secondo i giudici doveva dunque necessariamente aver mitigato il patimento naturalmente connesso alla carcerazione.

La terza sezione di Cassazione con la sentenza numero 9486/2024 ha rimediato alla sentenza classista parlando di “principio rovesciato”. “Per non parlare – scrivono i giudici – dell’incomprensibile richiamo, pure utilizzato nell’ordinanza impugnata, alla subalternità culturale”.

Buon giovedì.