Marzo 1944 «Fuori è una tormenta che sibila da tutto il giorno; gli alpini alla luce di una candela, giocano a sette e mezzo; due accanto a me, cantano con voce di nostalgia, una canzone piena di delicato tremore “dormi mia bella dormi”. Siamo a quasi 3000 metri, dentro una baita piccola e bassa, e vicino non abbiamo che la neve e il cielo………» e più avanti: «Vedi che scrivo malissimo ma non ho nemmeno la forza di correre dietro alle parole o di sorvegliare il mio pensiero……». In questi brevi stralci di una toccante lettera che il poeta Roberto Roversi, ventenne, inviava alla sua famiglia, si sente tutta la trepidazione e la invincibile convinzione di chi è consapevole di stare dalla parte giusta.
Dalla sua postazione sulle montagne del cuneese, come alpino arruolato nella Monterosa, poi disertore per aggregarsi alla seconda divisione brigata Val Vatraita “Rolando Besana”. Roversi partecipa a diverse azioni con la determinazione e l’onestà intellettuale che hanno contraddistinto tutta la sua esistenza professionale e privata.«Per il nostro affetto», scriveva ancora,«quanti egoismi, quante crudeltà altrove! Ho visto tante cose così dolorose così terribili che non ho quasi più fede nella vita!». Ma poi conclude:«Compatitemi perché vi amo tanto».
Per ricordare lui e quel periodo della sua vita, il Comune di Bentivoglio, in provincia di Bologna, in collaborazione con Anpi, il Museo della civiltà contadina, la città di Bologna e l’Officina Roversi, hanno voluto dedicargli la mostra Roversi partigiano, una resistenza prolungata nel tempo. E così è stata la vita del grande poeta civile, intellettuale e maestro di autori, che probabilmente ha conservato nella memoria quel periodo così intenso umanamente e politicamente, durante la stesura del suo poema più famoso L’Italia sepolta sotto la neve, iniziato nel 1984 in quattro parti, parallelamente alla conclusione dell’altro poema Le descrizioni in atto (1969-1985) e raccolte in volume solo nel 2010 dalla casa editrice Pendragon (qui tutti i libri di Roversi editi dalla casa editrice bolognese). Anche se non si riferisce a quella neve in cui erano immersi i partigiani che difendevano l’Italia dal fascismo, il poema tuttavia evocava, più tardi nel tempo, un’altra neve, quella che ha coperto l’Italia degli anni Settanta, insanguinata da stragi, depistaggi, trame e culminata nell’attentato alla stazione di Bologna nel 2 Agosto del 1980.
La neve del silenzio e della omissione, “un’opera-mondo”, come ha scritto Marco Giovenale, poeta e critico, creata da un “autore-istoriatore”. Non possiamo, in queste poche righe, dilungarci sulla grandezza dell’autore, dell’intellettuale critico ma dotato di grande umanità e capacità di ascolto, di prezioso ricercatore di testi antichi e spesso introvabili, tranne che nella sua libreria antiquaria La Palmaverde, a Bologna in via Castiglione, dove sono passati quasi tutti i poeti e gli intellettuali italiani.
Ma possiamo celebrarlo come ha fatto il paese di Bentivoglio, luogo di villeggiatura del poeta. Alla presenza della sindaca del paese, del presidente Anpi Roberto Dall’olio dello storico Luca Alessandrini e dell’editore Antonio Bagnoli, tutti hanno voluto ricordarlo soprattutto come partigiano. Le foto in gruppo ce lo mostrano con una barba da Che Guevara, stretto ai compagni di lotta. «Una resistenza prolungata nel tempo», sottolinea Antonio Bagnoli, editore dell’Opera omnia di Roversi, «questa è una frase con la quale il poeta amava sottolineare un atteggiamento di fronte alla vita. Un modo di pensare, che dunque non si esaurisce in quegli anni, in quel periodo, ma che continua e deve continuare in tutta la nostra esistenza e le nostre azioni».
Con la coerenza che lo contraddistingueva, Roversi ha messo in pratica la “sua” resistenza di fronte al mercato editoriale, ma anche di fronte ad una sinistra con la quale era diventato difficile dialogare. Capace, come pochi altri di coniugare la dimensione più alta di scrittore e poeta, di autore teatrale, di intellettuale in rapporto con i maggiori poeti italiani, come si evince dai carteggi con Sciascia, Sereni, Pasolini, con quella più giocosa delle canzoni scritte per Dalla e gli Stadio (chi ricorda “Chiedi chi erano i Beatles”?). E di evocare, all’età di quasi 82 anni, l’Italia che aveva difeso, con una struggente breve lirica dal titolo “Patria” che conclude: «…è tutta cielo e mare. Nubi bianche su alte montagne. E’ la voce di bambini che chiaman la madre. E’ il rumore di un treno sulla pianura. E’l’Italia ferita e altera. Sono io. Siamo noi. Qualche marmo. Comune destino».