A fine marzo, l’Assemblea nazionale venezuelana, a maggioranza chavista e sotto il Grande polo patriottico Simón Bolívar, guidato dal Partido Socialista di Nicolás Maduro, ha approvato la legge di annessione della regione di Esequibo, territorio riconosciuto a livello internazionale come appartenente alla Repubblica Cooperativa di Guyana.
La faida regionale iniziò nel 1841, quando la giovane nazione venezuelana, dichiaratasi indipendente dal Regno di Spagna trent’anni prima, contestò l’accaparramento della area ovest del fiume Esequibo, da parte del governo britannico, nuovo amministratore subentrato ai Paesi Bassi.
Trattandosi di una regione ricca di giacimenti minerali, compresi oro e diamanti, durante il passaggio amministrativo anglo-olandese, i colonizzatori avvertirono la necessità di definire in maniera chiara la frontiera tra British Guiana e Venezuela, attraverso la “linea Schomburgk”, che aggiunse 80mila km2 a occidente, a partire della frontiera naturale del fiume Esequibo. Tale aggiunta, oggi, costituisce il 70% dell’attuale territorio guyanese. Dopo il tentativo fallito degli Stati Uniti di mediare la disputa, ponendosi come garante del Mediterraneo americano, fu il neonato Arbitrato Internazionale parigino a decretare, nel 1899, che l’intera area contesa apparteneva all’amministrazione inglese.
A metà Novecento, fu resa pubblica una lettera di Severo Mallet-Prevost, uno degli avvocati nominati dagli Stati Uniti per difendere il Venezuela nell’Arbitrato internazionale. Nella missiva, l’avvocato statunitense si dichiarava convinto delle pressioni subite dal giudice parigino per emettere una sentenza favorevole agli inglesi. Per tutta risposta, il governo di Caracas rivendicò nuovamente il territorio, nel 1966, anno dell’indipendenza della Guyana dal Regno Unito, stavolta rivolgendosi all’Onu. Grazie agli Accordi di Ginevra, le Nazioni Unite sancirono l’intento dei tre Paesi di trovare una soluzione pacifica alla diatriba, al fine di garantire la sicurezza in Sudamerica.
L’attuale aumento della tensione ebbe inizio negli anni Ottanta, con la scoperta dei primi giacimenti di petrolio nell’area reclamata, le concessioni date dal governo guyanese alle aziende off-shore e on-shore statunitensi e il ricorso alla vendita di war bonds, ovvero di titoli di guerra, per finanziare un eventuale conflitto con Caracas. A quel punto, le relazioni politiche e militari della Guyana con gli Stati Uniti divennero, via via molto più solide.
Da quel momento in poi, sia la classe politica venezuelana, che quella guyanese sfruttarono la tensione nell’area, soprattutto durante le campagne elettorali. Nei momenti clou della propaganda politica, con lo scopo di aumentare la propria popolarità, entrambi i Paesi puntavano al nazionalismo e alla sicurezza della frontiera.
Con l’arrivo al potere di Hugo Chávez, nel 1999, la politica estera venezuelana attraversò un periodo tanto particolare quanto delicato, caratterizzato da teorie complottiste e dal forte senso di persecuzione nei confronti del Paese limitrofo. Il presidente venezuelano arrivò persino a minacciare l’invasione della Guyana, con l’obiettivo di far saltare le negoziazioni per la costruzione di una base aerospaziale americana sul territorio, sostenendo che il vicino non poteva sfruttare un’area reclamata a livello internazionale. Pur di evitare il conflitto e tranquillizzare il contendente di frontiera, il governo della Guyana, con sede a Georgetown, rinunciò al progetto.
Nel 2000, l’United States Geological Survey fece una grande scoperta: rilevò uno dei più grandi giacimenti di petrolio al mondo, e ciò stimolò gli investimenti sul bacino Guyana-Suriname, compresa la regione di Esequibo. Improvvisamente, uno dei Paesi più poveri dell’America Latina, si ritrovò ad avere il potenziale per diventare uno Stato all’avanguardia economicamente, con la crescita più veloce al mondo, come ad esempio il Qatar. La scoperta di numerosi pozzi petroliferi, da parte dell’azienda statunitense Exxon Mobil, contribuì all’inesorabile alleanza tra l’amministrazione pubblica e il settore privato.
Per rivendicare il territorio di Esequibo presso la Corte Internazionale di Giustizia (Cig), nel 2018, il governo della Guyana sfruttò avvocati pagati direttamente dall’azienda interessata, per un totale di ben 780 milioni di dollari di spese legali. Il ricorso della Guyana alla Cig, risulta anomalo in materia di trattati internazionali. Al pari del Venezuela, il Paese non ha mai riconosciuto la giurisdizione della Corte Internazionale di Giustizia; oltre ai precedenti storici, tale anomalia giuridica ha portato il presidente Nicolás Maduro a sostenere l’illegalità e l’infrazione delle norme internazionali del governo guyandese.
La reazione energica e impositiva di Nicolás Maduro delle ultime settimane non sorprende. In vista della campagna elettorale, la retorica di voler proteggere l’integrità territoriale del Paese, ancora una volta, spinge la popolazione verso il nazionalismo. Il risultato del referendum consultivo, secondo fonti governative, ha riportato che più del 90% dell’elettorato venezuelano ha votato a favore della ripresa di Esequibo. Successivamente, è stata apportata una modifica della carta geografica, con multe salate per chiunque contestasse l’annessione, e il blocco delle candidature degli oppositori ritenuti filo-americani. Tutto questo rappresenta l’ennesimo esempio di forza che l’erede chavista usa contro la resistenza interna e internazionale. Nella legge di annessione della Guayana Esequibada, come presunta ventiquattresima regione venezuelana, Maduro nomina persino il Presidente della Regione, oltre al fatto che è tassativamente escluso dall’elettorato passivo chiunque si sia dichiarato, in maniera diretta o indiretta, pro-Guyana o Exxon Mobil. La popolazione locale guyanese non viene considerata perché, nell’ottica di Maduro, ritenuta venezuelana.
Le ultime dichiarazioni di forza e gli arresti dei sostenitori della campagna elettorale di María Corina Machado Parisca, politica e attivista dichiarata ineleggibile, dopo una controversa sentenza del Consiglio elettorale venezuelano, in più accusata da Maduro di filoamericanismo, possono essere interpretati come un modo di giustificare uno “stato di eccezione” con il rischio di rinviare il voto delle presidenziali del 28 luglio.
La tensione in crescita porta la piccola potenza petrolifera della Guyana a consolidare i suoi rapporti di cooperazione militari con Stati Uniti e Regno Unito. Nel primo caso, con la Brigata di Assistenza alle Forze di Sicurezza americana, gli incontri vertono sulle capacità tecniche e di preparazione militare di un contingente di circa tre mila militari guyanesi, ponendo il focus su vari fattori: assistenza umanitaria, sicurezza marittima, sviluppo professionale e preparazione alla gestione delle catastrofi. Con il Regno Unito, invece, è stato mantenuto il calendario di esercitazioni programmate con navi da guerra inglesi lungo la costa.
Nonostante l’aria bellicosa, i Paesi del Mercosul, la Comunità Caraibica (Caricom) e la Commissione Economica Per l’America Latina e i Caraibi (Cepal), esortano alla pace tra i due Stati. La diplomazia brasiliana, inoltre, ha indetto una serie di incontri tra i contendenti, al fine di strappare un compromesso pacifico, onde evitare una guerra alle porte del Sudamerica.
Nella foto: Mahdia, piccolo paese nel territorio conteso della Guyana Esequiba, 2006 (wikipedia)