L'analisi dei diritti umani in 155 Paesi mette in evidenza il rischio di un pericoloso ritorno al passato, con il tradimento di tutte le Carte e i principi ivi sanciti. Tra conflitti, rischi delle nuove tecnologie, repressione del dissenso, c'è un dato positivo: le proteste di milioni di persone in tutto il mondo. Per un cessate il fuoco in Palestina, per i diritti delle donne e per la giustizia climatica

Il quasi totale collasso del diritto internazionale, l’escalation delle guerre di cui pagano le conseguenze soprattutto le popolazioni civili, l’uso, privo di controlli, delle nuove tecnologie e dell’intelligenza artificiale per alimentare odio, generare confitti e controllare il dissenso e il continuo attacco alle donne e alle minoranze. E anche, per fortuna – e questa è la nota di speranza –  una straordinaria mobilitazione popolare di milioni di persone in tutto il mondo. Il Rapporto 2023-2024 di Amnesty international (in Italia viene pubblicato da Infinito edizioni) che contiene un’analisi dei diritti umani in 155 Paesi, è sconfortante. Cogliere i singoli episodi di cronaca e di politica internazionale e italiana, filtrati attraverso la lente dei diritti umani, significa vedere un’umanità che rischia di tornare indietro.

Il ritorno a prima del 1948, l’anno della Dichiarazione universale dei diritti umani? Il rischio è grande e lo scrive nella prefazione del Rapporto la segretaria generale di Amnesty Agnès Callamard: «“Mai più”, aveva dichiarato il mondo all’indomani della guerra globale con i suoi circa 55 milioni di morti civili, di fronte all’orrore abissale di un Olocausto che vide lo sterminio di sei milioni di ebrei e di milioni di altre persone. Ciononostante, nel 2023, le lezioni morali e legali del “mai più” sono andate in mille pezzi». «In seguito agli orribili crimini perpetrati da Hamas il 7 ottobre 2023 – prosegue Agnès Callamard -, quando oltre 1.000 persone, per lo più civili israeliani, sono state uccise, migliaia ferite e 245 prese in ostaggio, Israele ha avviato una campagna di rappresaglia che è diventata una punizione collettiva. Si tratta di una campagna di bombardamenti deliberati e indiscriminati su civili e infrastrutture civili, di negazione dell’assistenza umanitaria e di una carestia pianificata».

Agnès Callamard, segretaria generale Amnesty International © Esther Genicot

Alla fine del 2023, il bilancio era di 21.600 palestinesi uccisi, per la maggior parte civili. Il 23 aprile scorso, secondo il ministero della Sanità di Hamas il numero delle vittime è salito a 34.183. E poi la distruzione: cancellate le infrastrutture civili, 1,9 milioni di palestinesi sfollati, all’interno del Paese e privati di acqua, medicinali, assistenza sanitaria. Oggi essere palestinese, continua la segretaria generale di Amnesty, significa essere precipitati in una situazione peggiore, quanto a distruzione, della Nakba del 1948, quando più di 750mila palestinesi furono sfollati con la forza.

«Per milioni di persone in tutto il mondo, Gaza simboleggia ora il totale fallimento morale di molti degli artefici del sistema del secondo dopoguerra: il loro fallimento nel supportare l’impegno incondizionato verso l’universalità e la nostra comune condizione umana, e l’impegno del “mai più”. I principi sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite, dalle Convenzioni di Ginevra, dalla Convenzione sul genocidio e dal diritto internazionale dei diritti umani sono stati traditi», sottolinea Callamard. E la responsabilità non è solo di Israele, ma anche dei suoi alleati: il rapporto indica l’uso del potere di veto da parte degli Usa per paralizzare per mesi il Consiglio di sicurezza sulla necessaria risoluzione per il cessate il fuoco. Sotto accusa anche “i doppi standard” dei Paesi europei come Germania e Regno Unito che hanno giustamente protestato contro i crimini di guerra della Russia e di Hamas ma contemporaneamente hanno rafforzato l’operato di Israele e il ruolo delle autorità statunitensi nel conflitto in medio Oriente». Il tradimento del diritto internazionale, fa notare il Rapporto, viene proprio da coloro che lo hanno messo in piedi alla fine della Seconda guerra mondiale.

Ciò che rimane della Great Omari Mosque, dopo l’attacco israeliano, Gaza City, Gaza, 26 gennaio 2024 (foto Omar El Qattaa/Amnesty International)

Poi ci sono le altre guerre e le altre violazioni dei diritti umani. Il rapporto documenta la violazione delle regole da parte delle forze russe nel corso della loro invasione su vasta scala dell’Ucraina: «attacchi indiscriminati su aree civili ad alta densità abitativa, alle infrastrutture per la produzione di energia e a quelle per l’esportazione del grano, nonché l’uso della tortura sui prigionieri di guerra. A questo deve aggiungersi l’elevata contaminazione ambientale a seguito di azioni come la distruzione, parsa deliberata, della diga di Kakhovka che si ritiene ampiamente sia stata compiuta dalle forze russe». L’esercito di Myanmar e le milizie alleate hanno condotto attacchi contro i civili che hanno causato, solo nel 2023, oltre 1000 morti. «Né l’esercito di Myanmar né le autorità russe – si legge nel Rapporto – si sono impegnate a indagare sulle denunce di violazioni dei diritti umani. Entrambi hanno ricevuto sostegno finanziario e militare dalla Cina».

Un’altra situazione gravissima è in Africa. «In Sudan le due parti in conflitto – le Forze armate sudanesi e le Forze di supporto rapido – hanno dimostrato ben poca attenzione per il diritto internazionale umanitario, portando avanti attacchi sia mirati che indiscriminati che hanno ucciso e ferito civili e lanciando munizioni esplosive contro aree civili ad alta densità abitativa. I morti, solo nel 2023, sono stati 12.000. Questo conflitto ha prodotto la più grande crisi di sfollati al mondo, con oltre otto milioni di persone costrette alla fuga. Non si intravede la fine del conflitto, mentre la crisi alimentare sviluppatasi negli ultimi mesi è pericolosamente prossima a una carestia».

Rifugiati sudanesi, Adre, Est Ciad, 26 giugno 2023 (foto Amnesty international)

Il rischio delle nuove tecnologie. In un anno cruciale come quello del 2024 in cui vanno al voto, tra gli altri, Paesi come gli Stati Uniti e l’India, senza dimenticare l’Unione europea, l’uso distorto degli strumenti digitali delle Big tech può essere costituire una minaccia, oltre che veicolo per alimentare dicrimiazioni, incitazioni all’odio e strumento di controllo. «Senza una regolamentazione di questi sviluppi, il mondo rischia un “sovraccarico” di violazioni dei diritti umani», si legge nel Rapporto che dedica molto spazio al fenomeno degli spyware. Tra l’altro,proprio nel 2023 Amnesty aveva scoperto lìuso dello spyware Pegasus contro giornalisti e attivisti in alcuni Stati, tra cui Armenia, Repubblica Doemnicana, India e Serbia. Un piccolo spiraglio nella giungla in cui si trovano ad operare le Big Tech, viene messo in evidenza nel Rapporto, ed è il Digital Service Act il regolamento dell’Unione europea adottato nel febbraio 2024, anche se viene definito «incompleto e imperfetto».

Il futuro che non vogliamo. Con questo titolo Agnès Callamard si riferisce proprio alla minaccia digitale. «Nel 2023, gli stati – scrive – hanno fatto sempre più spesso ricorso alle tecnologie di riconoscimento facciale a supporto del controllo delle proteste pubbliche, negli eventi sportivi e, in generale, nei confronti delle comunità marginalizzate, e specialmente di migranti e rifugiati. Per la gestione della migrazione e il controllo delle frontiere ci si è affidati a tecnologie illegali, tra cui quelle legate all’esternalizzazione delle frontiere, software di raccolta dati, biometrica e sistemi decisionali basati su algoritmi».

Una mobilitazione globale senza precedenti. Questo è l’aspetto che più fa sperare. Se anche gli stessi leader mondiali hanno tradito i principi del diritto internazionale, a difendere i diritti umani in ogni parte del mondo, sono scesi milioni e milioni di persone. «Laddove leader di spessore mondiale non si sono schierati dalla parte dei diritti umani, abbiamo visto persone entusiaste marciare, protestare e pretendere un futuro di maggiore speranza», ha dichiarato Callamard. «Il conflitto tra Israele e Hamas ha generato proteste in ogni parte del mondo, con richieste – levatesi ben prima che molti governi le facessero proprie – di un cessate il fuoco per porre fine all’indicibile sofferenza dei palestinesi di Gaza e di ritorno in libertà di tutti gli ostaggi nelle mani di Hamas e di altri gruppi armati».

Parigi, manifestazione per il cessate il fuoco a Gaza (foto Benjamin Girette)

Le persone sono scese in piazza anche per rivendicare il diritto all’aborto come negli Usa, in Polonia e in El Salvador. In tutto il mondo altri giovani si sono aggregati al movimento Fridays for Future per chiedere un’equa e rapida uscita dal fossile. Nel 2023, incessanti campagne hanno ottenuto significative vittorie per i diritti umani. A Taiwan, il movimento #MeToo e altre organizzazioni della società civile che chiedevano la fine della violenza sessuale online hanno spinto il governo a emendare la Legge sulla prevenzione del crimine di aggressione sessuale.

La conclusione: rivitalizzare le istituzioni di garanzia internazionali. «Considerato il fosco stato delle cose a livello globale, occorrono misure urgenti per rivitalizzare e rinnovare le istituzioni internazionali create per tutelare l’umanità. Devono essere fatti passi avanti per riformare il Consiglio di sicurezza dell’Onu in modo che gli Stati membri permanenti non possano brandire il loro incontrollato potere di veto e impedire così la protezione dei civili a vantaggio delle loro alleanze geopolitiche. I governi devono anche adottare robuste regole e legislazioni per affrontare i rischi e i danni causati dalle tecnologie dell’intelligenza artificiale e riprendere le redini di Big Tech”, ha concluso Callamard.

E l’Italia? Non sta bene, quanto a violazioni dei diritti umani.

Ecco cosa dice la scheda in sintesi del rapporto: «Sono pervenute nuove segnalazioni di tortura e altro maltrattamento da parte di agenti carcerari e di polizia. Gli attivisti per la giustizia climatica sono incorsi in restrizioni sproporzionate al diritto di riunione pacifica. La violenza di genere è rimasta a livelli inaccettabilmente elevati. L’accesso all’asilo è stato notevolmente limitato, anche attraverso misure illegali. È perdurata la preoccupazione per i discorsi d’odio e i crimini d’odio, mentre le garanzie contro la discriminazione sono risultate inadeguate. L’accesso all’aborto è rimasto difficile in alcune parti del paese. L’Italia rischiava di non riuscire a raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni di carbonio».

In apertura: Una donna palestinese ispeziona i resti della sua casa distrutta dal’esercito israeliano, Gaza City, Gaza (Credits: Omar El Qattaa/Amnesty International)