Questo sarà il secolo delle migrazioni, soprattutto per gli effetti della crisi climatica. Nei prossimi decenni si sposterà oltre un miliardo e mezzo di persone. Un movimento umano senza precedenti. È una sfida globale che impegnerà la politica e che necessita di una nuova visione culturale
Nel lungo periodo delle migrazioni umane del Paleolitico e di quelle dei sapiens prima del Neolitico si tende spesso a considerare sempre “nomade” la vita dei raccoglitori cacciatori; poi vi sarebbe la progressiva novità della stanzialità, con una presenza sempre più decrescente di residui di nomadismo (in termini quantitativi assoluti relativi alla sola popolazione non stanziale e molto anche in termini percentuali rispetto alla popolazione umana). Oggi un approfondito bel testo suggerisce che il nostro futuro dovrà essere molto più nomade che negli ultimi diecimila anni. Certamente stiamo vivendo e vivremo in un secolo di migrazioni di massa, come si legge nel libro di Gaia Vince, Il secolo nomade. Come sopravvivere al disastro climatico (traduzione di Giuliana Olivero, Bollati Boringhieri). Nel Sud del mondo e in molte zone costiere, i cambiamenti climatici estremi stanno spingendo e spingeranno un gran numero di sapiens ad abbandonare le proprie case, a trasferirsi per sopravvivere, con vaste regioni che diventeranno inabitabili. La previsione realistica è che alla fine del secolo saranno complessivamente circa 3,5 miliardi i migranti. L’Organizzazione internazionale per le migrazioni delle Nazioni Unite (Iom) stima che già nei prossimi trent’anni potrebbero esserci fino a 1,5 miliardi solo di profughi o migranti climatici. Tutti noi, o saremo tra di loro o tra coloro che li dovranno accogliere. In larga parte del Nord del pianeta, dove il clima è da millenni più confortevole, le economie faticheranno a sopravvivere ai cambiamenti demografici, con una forte carenza di forza lavoro e una popolazione anziana impoverita. Questa migrazione imponente e diversificata è già iniziata, non pianificata e male organizzata: gli spostamenti dovuti al clima si aggiungono alla massiccia migrazione in atto, in tutto il mondo, verso le città. Il nostro sarà il secolo di un movimento umano senza precedenti, almeno per entità assoluta degli umani coinvolti e per distanze complessivamente percorse da tanti nel corso di una sola esistenza. Non è una sfida che si possa affrontare a livello individuale: rischiamo crescenti miseria, guerre, morti. Mentre ripristiniamo l’abitabilità del pianeta, dobbiamo pensare adesso a dove poter rilocalizzare in modo sostenibile questi miliardi di persone, il che richiede un’azione concertata di diplomazia internazionale, negoziati sui confini e adattamento delle città esistenti. Forse è venuto il momento di maturare una certa mentalità geopolitica e superare l’idea che apparteniamo a un particolare territorio e che esso ci appartenga e ci identifichi. D’altra parte, sono le ingenti migrazioni antiche che ci hanno reso ciò che siamo, ovvero scimmie sociali e tecnologiche, ci siamo evoluti cooperando e migrando.

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