La vita in campagna, la memoria delle periferie industriali e la svolta: la scelta della letteratura. La scrittrice Lu Min si racconta. L’autrice di "Cena per sei" è il 9 maggio al Salone del libro e il 13 maggio a Roma
«Mi interessano le persone. Spero che nei miei romanzi i lettori possano vedere il volto di ognuna di cui scrivo», dice la scrittrice cinese Lu Min, autrice di Cena per sei (Orientalia editrice) che sarà a Milano (università Cattolica e Statale il 6 e 7 maggio), al Salone del libro di Torino il 9 maggio, a Roma (Dipartimento studi orientali de La Sapienza), il 13 maggio. Lu Min, prima di diventare scrittrice, ha fatto molti lavori: impiegata alle poste e poi in un ufficio, progettista aziendale, reporter, segretaria e funzionaria statale. Qual è stato il punto di svolta che l’ha portata a scrivere per professione? La scelta di scrivere per professione è stata un vero punto di svolta, un colpo di scena. Avevo più o meno 24 anni, stava calando la sera e io compilavo noiosi documenti nel mio ufficio in un palazzo di trenta piani. Dalla finestra vedevo i giochi di luce del tramonto. Nuvole scure galleggiavano nel cielo sopra le teste dei passanti: impiegati statali, venditori ambulanti, poliziotti, fattorini dell’acqua, camerieri, mamme che spingevano passeggini e così via. Avevo l’impressione di vedere anche me stessa tra la folla, correvo ansimando senza una meta. Osservavo la gente e al contempo mi guardavo. Era come se tutte quelle teste ondeggiassero in un oceano. Capii che non vedevo quelle persone per come realmente erano. L’esteriorità celava sentimenti, esperienze. Come lunghe ombre si trascinavano dietro segreti, dolori e fantasie. Ne rimasi colpita, provavo il desiderio disperato di avvicinarmi alle loro vite, ai loro cuori. Mi serviva uno strumento legittimo per farlo, un telescopio ad alta definizione o una corda da mago. Quel giorno lo trovai: la narrativa. La scrittura mi avrebbe dato la libertà e il diritto di frugare nei loro segreti. Tornai alla scrivania, chiusi il documento di lavoro, aprii un file vuoto e digitai le mie prime righe da scrittrice. Com’è diventata una scrittrice? Il tramonto che sembrava essere arrivato all’improvviso era stato preceduto da una lunga gavetta. Non ho ricevuto una buona istruzione, non ho frequentato l’università e ho iniziato a lavorare a 18 anni. Mi è sempre piaciuto avere a che fare con gli estranei. Le loro vite, i loro dolori e le loro gioie sono state la mia scuola. L’infanzia trascorsa in campagna ha avuto un impatto significativo su di me, ho un ricordo romantico di quella vita povera e lenta. Mia madre, una maestra elementare dal carattere forte, tirò su me e mia sorella da sola. Mio padre, poco presente da vivo e morto presto, ha plasmato la mia sensibilità con la sua assenza. Ero ottimista e pessimista allo stesso tempo, la povertà non mi toccava ma mi lasciavo entusiasmare dal destino degli altri. Forse sono stati fattori accidentali e irrilevanti come questi a fare di me una scrittrice. A volte penso di essermi spinta sulla strada della scrittura non grazie al talento ma per indole.

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