Arte figurativa e creazione letteraria è stato l’ambito di esplorazione di un raggruppamento di artisti che si era formato nel convegno fondativo di Firenze Arte e comunicazione il 24-26 maggio del 1963 (Firenze rimase il baricentro delle attività del gruppo per tutti gli anni in cui fu attivo). Questa vicenda è ricostruita nella mostra La poesia ti guarda” Omaggio al gruppo 70 (1963-2023) negli spazi della Galleria d’Arte Moderna di Roma, fino al 24 settembre. Qui abbiamo scoperto che a quel convegno parteciparono i poeti Eugenio Miccini e Lamberto Pignotti, i pittori Antonio Bueno e Alberto Moretti, i critici Luciano Anceschi, Eugenio Battisti, Gillo Dorfles, i linguisti Umberto Eco e Aldo Rossi. Collegata al convegno vi era la rassegna espositiva Tecnologica allestita alla Galleria Quadrante di Firenze nel dicembre di quello stesso anno. Al centro del dibattito c’era l’arte intesa come fenomeno della comunicazione, analizzata secondo i principi dello strutturalismo e della semiologia, che negli anni successivi Umberto Eco avrebbe sviluppato e codificato col termine “semiotica”. Il convegno di Firenze precedette di qualche mese il più celebre convegno di Palermo nel quale a ottobre prese vita il più celebre Gruppo 63, annunciato dalla pubblicazione, nel 1961, dell’antologia I Novissimi a cura di Alfredo Giuliani.
Il raggruppamento che si era formato a Firenze – a cui si aggiunsero successivamente Ketty La Rocca, Lucia Marcucci e Luciano Ori – condivideva quei fermenti e quelle spinte al rinnovamento e all’esplorazione di nuovi territori della creazione artistica tipici di quegli anni. Al 1964 risale il saggio di Umberto Eco Apocalittici e integrati, nel quale i meccanismi dei mezzi di comunicazione di massa vengono analizzati anche in relazione alle forme della creazione artistica, in una nuova ottica che rovescia le tradizionali gerarchie tra le arti maggiori e minori, tra pittura e fumetto, tra letteratura e slogan pubblicitario. Applicando lo stesso principio e la stessa metodologia da parte degli artisti del Gruppo 70 «dopo vari esperimenti di poesia tecnologica e di pittura tecnologica, costruite con prelievi rispettivamente di materiali verbali e visivi, si passò, coerentemente, alla sinergia sponsale dei due codici nella poesia visiva, prodotto compiutamente e deliberatamente interartistico» – scrive Daniela Vasta in Quando la poesia ci (ri)guarda, catalogo della mostra alla Gnam di Roma. Queste “pratiche interlinguistiche” furono alla base di alcune performance-spettacolo come Homo tecnologicus (1964), Poesia e no (1964) e Luna Park (1965). In esse i “poeti visivi” partivano da materiali tecnicamente riproducibili provenienti da un bacino di comunicazione popolare (giornali, magazine, televisione, manifesti pubblicitari) per confezionare, attraverso un procedimento di estrazione, prodotti unici e originali. Tra i bacini cui si attinge per il riuso figurano anche rebus, cartoline postali, segnaletiche stradali fumetti, francobolli (magari utilizzati per un rovesciamento parodistico delle proporzioni della pop-art americana). Lo studioso Marcello Carlino l’ha definita «utopia dell’intermedialità». Il valore politico-ideologico di questa operazione era fin troppo evidente: infrangere le partizioni codificate tra i generi artistici tradizionali attraverso le «operazioni sperimentali variamente denominate poesia visiva, scrittura visuale, pittura verbale, nuova scrittura» puntando a «sabotare il sistema» o, come recita un titolo di Lamberto Pignotti, uno dei principali componenti del gruppo, condurre Una forma di lotta contro l’anonimato dei prodotti in serie della civiltà tecnologica. Il successivo convegno del 1964 a Firenze Arte e tecnologia mise al centro del dibattito il rapporto tra l’avanguardia e le tecnologie, che subito entrarono a fare parte del linguaggio degli artisti nei loro spettacoli-performance attraverso i quali il gruppo si proponevano di uscire dalla “torre d’avorio” dell’intellettuale per inseguire l’utopia di una “avanguardia di massa” (nelle opere di Miccini, uno dei componenti dei gruppo, ricorre spesso il motto «Poetry Gets into Life»).
«La mescolanza dei codici aumenterà inoltre il consumo dell’arte e moltiplicherà il pubblico dell’avanguardia, perché sommerà “aritmeticamente” il pubblico della pittura con quello della poesia, il pubblico della musica con quello del teatro», scriveva Pignotti. Il terzo convegno del gruppo consisté in un festival itinerante e diffuso in vari luoghi di Firenze, tra cui La Galleria La Vigna Nuova. La ricerca verbo/visuale del gruppo approdò all’antologia Poesie visive a cura di Lamberto Pignotti e Alfredo Giuliani, nel quale confluirono lavori del del Gruppo 70, del Gruppo 63 e di personalità che órbitavano intorno al gruppo napoletano Linea Sud in una sorta di “conclave dell’avanguardia” nel quale si trovarono implicate diversi filoni di ricerca e tendenze sperimentali, dall’arte povera alla pop art, dal New Dada all’arte programmata. L’intenzione degli artisti del Gruppo 70 era quella di «porsi oltre tutte le opzioni estetiche e poetiche in circolazione – gli ultimi strascichi dell’informale, il realismo e il neorealismo, l’ermetismo», ricorda Daniela Vasta nel citato saggio. «Si trattava di una poesia realmente pop, nata dalla consapevolezza dell’insufficienza della poesia pura», scrive la curatrice della mostra.
Il Gruppo 70 si sciolse nel 1968 al termine di un anno segnato da diversi avvenimenti. In parallelo all’esplosione della protesta giovanile (dopo diverse collettive in gallerie di Firenze e al Palazzo delle Esposizioni di Empoli) nell’autunno del ‘68 il gruppo prese parte a Situazione 68, una sorta di anti-biennale fiorentina.
Nei mesi successivi le tensioni sociali e lo scontro politico si fecero sempre più radicali. Alcuni componenti del gruppo si trasferirono a Roma, che era diventato l’epicentro culturale del “movimento” grazie alla presenza di Nanni Balestrini, Alfredo Giuliani e Cesare Vivaldi e a quella degli artisti Festa, Schifano e Kounellis. L’esperienza del Gruppo 70 si dissolse all’interno del più vasto arcipelago della controcultura. Armando Petrucci nel suo saggio La scrittura: ideologia e rappresentazione del 1986 interpreta la poesia visiva degli anni sessanta come «un filone al quale, per il tipo di sperimentazione scrittoria operato sia con i caratteri tipografici che con la scrittura a mano, va in qualche modo accostata la ricca esperienza di fogli e di riviste underground e delle recentissime fanzine che lo studioso riunisce sotto la più generale categoria de i segni del no».
La parabola del Gruppo 70 si consumò in cinque anni. I nomi dei componenti e le loro opere in seguito sarebbero stati sostanzialmente dimenticati. Anche la scelta di esplorare un campo a metà tra arte figurativa e mondo letterario ha reso le loro opere difficilmente catalogabili. Ma proprio per questo vale la pena visitare questa piccola mostra che rende omaggio a un coraggioso gruppo di esploratori e pionieri.