Ecco le politiche del governo Meloni sul Mezzogiorno, inteso come territorio a disposizione dello sfruttamento programmato a favore delle industrie e imprenditori, in prevalenza del Nord, e di multinazionali straniere. Dove l'autonomia differenziata produrrà ulteriori diseguaglianze. Un estratto dal libro di Left "Repubblica una indivisibile euromediterranea"

Il 17 maggio si terrà un’assemblea pubblica a Reggio Emilia sull’autonomia differenziata nel corso della quale sarà presentato il libro collettaneo di Left Repubblica una indivisibile euromediterranea. Pubblichiamo un estratto del saggio di Natale Cuccurese, presente all’incontro.

Da qualche settimana a questa parte tutta la stampa propaganda le Zes (Zone economiche speciali) e il ministro Fitto in una nota indica che la Commissaria europea alla concorrenza Margrethe Vestager «ha accolto positivamente la proposta» sulle Zes «superando le attuali 8 zone economiche speciali già previste e istituite per rafforzare il sistema e sostenere la crescita e la competitività del Mezzogiorno».
Lo schema è sempre il solito: propagandare un provvedimento in teoria utile per il Mezzogiorno (così come in precedenza si è fatto per il ponte sullo Stretto, il Pnrr o con la Cassa per il Mezzogiorno) per poi bloccare i fondi, spostarli e continuare ad usare il Mezzogiorno come discarica terzomondista a disposizione dello sfruttamento programmato a favore delle industrie e imprenditori, in prevalenza del Nord, e di multinazionali straniere. Ricordate le “cattedrali nel deserto”? Bene, qui se possibile è ancora peggio.

La premier Meloni ha inoltre colto l’occasione per sfruttare antropologicamente l’assist fornito da questa ennesima giravolta di Stato dichiarando: «Per il Sud basta assistenzialismo, ma lavoro e crescita» Non si capisce bene in quale periodo sia avvenuto l’assistenzialismo di Stato, visto che il Rapporto Eurispes Italia 2020 certifica in ben 840 miliardi di euro (solo nel periodo 2000-2017) la sottrazione al Mezzogiorno di risorse dovute in base alla percentuale di residenti (34%) dallo Stato e distratte dai governi del centrosinistra-centrodestra a favore dei territori della “locomotiva”.

Per la cronaca, le Zes sono aree geografiche dotate di legislazione economica differente dalla legislazione dei Paesi a cui fanno capo e vengono istituite per attrarre investimenti stranieri sul modello “neoliberista”, con una riduzione dei termini non solo per i procedimenti amministrativi, ma persino di tutti i procedimenti ambientali (Via, Vas, ecc.) allo scopo di “fare presto”. Nella gestione di queste aree con agevolazioni fiscali bisogna però stare molto attenti perché il rischio concreto è quello di distruggere l’ambiente e il paesaggio. Se non fosse ancora chiaro, è anche per questo che ad esempio tempo fa in Assemblea regionale siciliana è stato presentato il disegno di legge per smantellare le Sovrintendenze e, in generale, per eliminare i controlli sulle attività economiche nelle aree vincolate. Ad un osservatore attento non sfugge il fatto che le due Zes siciliane, che ora saranno abolite e integrate, sono molto ampie e inglobano zone archeologiche e, in generale, di pregio. In questi casi, avere le mani libere agevola gli investitori internazionali e affaristi vari, che non arrivano per fare beneficenza, ma solo per fare affari.

Ne sa qualcosa la Cina, che è stato uno dei primi Paesi a sperimentare le Zes e nelle cui aree in questione ha sviluppato un inquinamento ambientale spaventoso. Zes sono presenti da anni in India, in Russia, in Kazakistan, in Corea del Nord, nelle Filippine. La prima area Zes fu in Irlanda nel 1959. In nessun Paese esiste un’area così vasta come quella proposta dal ministro Fitto, mischiare aree metropolitane sviluppate con altre depresse effettivamente non sembra una grande idea. Nella sua forma attuale l’Unione europea ha previsto la possibilità di creare delle Zes dal 2013, e l’Italia si è adeguata con il decreto legge 91 del 2017, poi con un successivo regolamento nel 2018 e infine nel 2021 per tenere conto del Pnrr. Nel primo Dl, quello del 2017, è scritto che per Zes «si intende una zona geograficamente delimitata e chiaramente identificata» in cui «le aziende già operative e quelle che si insedieranno possono beneficiare di speciali condizioni, in relazione alla natura incrementale degli investimenti e delle attività di sviluppo di impresa» Uno dei criteri è anche che nella zona in questione ci sia almeno un’area portuale.

L’impresa che investe in una Zes deve impegnarsi a mantenere aperte le attività per un certo numero di anni (7/14). E dovrà effettuare le assunzioni tra i residenti dell’area Zes o nei comuni vicini. Le Zes, di fatto, sono aiuti di Stato camuffati. Infatti quasi tutti i Paesi della Ue che hanno istituito le Zes, fino ad oggi, hanno chiesto deroghe all’articolo 107 del Tfue (Trattato sul funzionamento dell’Unione europea). In tutti i Paesi del mondo dove ricadono le Zes a decidere sono gli Stati. Nell’eurozona decidono i burocrati della Ue e gli Stati non contano nulla, le regioni ancora meno. Il resto al momento sono solo chiacchiere, se non che è evidente l’assist europeo a favore del prosieguo dell’autonomia differenziata, non a caso Calderoli esulta.

A fare del Mezzogiorno un’unica grande zona economica speciale al posto degli otto piccoli distretti, ci ha pensato il ministro Fitto, che vuole accentrare nelle sue mani a Roma tutte le politiche di coesione, togliendo ogni potere alle regioni del Sud, ma contemporaneamente dare sterminati poteri alle regioni del Nord approvando in Cdm il Ddl Calderoli sull’autonomia differenziata. «La questione della Zes unica va inquadrata in un contesto più ampio di spesa dei fondi strutturali e di attuazione del Pnrr: le verifiche fatte ci dicono che dobbiamo avviare una nuova fase basata su un disegno unico di rilancio del Mezzogiorno». Così di colpo vengono cancellate le 8 Zone economiche speciali gestite a livello locale da altrettanti commissari e viene costituita una Zes unica gestita direttamente da Palazzo Chigi. Praticamente, un percorso di autonomia differenziata all’incontrario: il potere dello Stato in materia di politica economica – con le decisioni relative agli investimenti pubblici ma anche privati – viene accentrato invece che essere decentrato con un’autorizzazione unica che deve passare da Palazzo Chigi al Dipartimento di Coesione da richiedere anche da parte del più piccolo paesino del Mezzogiorno: non sembra una semplificazione ma l’esatto contrario.

È stato così pubblicato in Gazzetta Ufficiale 19 settembre 2023, n. 219, il decreto legge 19 settembre 2023, n. 124 che prevede: l’istituzione dall’1 gennaio 2024 della nuova Zona economica speciale per il Mezzogiorno, denominata “Zes unica” che comprenderà i territori delle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia e Sardegna; l’istituzione di una cabina di regia Zes presso la presidenza del Consiglio dei ministri, con compiti di indirizzo, coordinamento, vigilanza e monitoraggio. In realtà questo gioco a rimpiattino, cioè abolire le vecchie Zes e far partire la Zes unica, è utile anche per fare ripartire, come al gioco dell’oca, tutto dal via. Bloccando gli investimenti, i fondi europei, i Fsc (Fondi per lo sviluppo e la coesione), assieme a tutti gli investimenti immateriali connessi o consequenziali (in turismo, cultura, ricerca scientifica, aiuti alle imprese, ecc.) già programmati.

Nella foto: il porto di Taranto

(estratto dal saggio di Natale Cuccurese, presidente nazionale del Partito del Sud pubblicato nel libro di dicembre 2023 di Left Repubblica una indivisibile euromediterranea)

Il libro di Left nella libreria qui (al numero 60)

 

 

 

Il libro sarà presentato il 17 maggio a Reggio Emilia