La Biennale d’arte 2024 propone un meticciato del sentire, squadernando un capolavoro di immagini vissute e consumate dal tempo che tendono lo sguardo al futuro restando tuttavia ben ancorate al passato millenario
«Siamo presenze riunite nel tempo, basta solo una goccia, magari tre generazioni, per dimenticarsi di tutto questo … “Noi eravamo qui” … quanto basta a sciogliere il nodo dello “straniero”» e, a ben guardare, della storia dell’umanità. Sono parole dell’attivista-produttore-regista-speaker Fred Kuwornu (nato nel 1971, cresciuto in Italia e da qualche anno residente a Brooklyn; sua madre è un’italiana ebrea mentre suo padre un chirurgo di origine ghanese giunto in Italia nei primi anni Sessanta) che nel corposo video, presente al Padiglione centrale, racconta le vicende degli afrodiscendenti nelle società occidentali (We Were Here: The Untold History of Black Africans in Renaissance Europe, 2024). Considerazioni a cui fa eco l’assegnazione del Leone d’Oro ad Archie Moore (1970), artista indigeno australiano che ha disegnato il proprio albero genealogico con il gesso sulle pareti e sul soffitto del Padiglione Australia (Kith and kin, 2024). La rete di nomi comprende 3.484 persone e Moore afferma che risale a 65mila anni fa con l’intenzione di dimostrare che se si ampliassero gli orizzonti della propria discendenza scopriremmo di essere tutti imparentati.
Sono gli antichi e nuovi volti dell’umanità che in questa Biennale prendono parola nel bene e nel male; una umanità attualmente stordita dai richiami accesi delle guerre in atto, timorosa, piccola come non mai. In questo senso, lo scavo nella storia che molti artisti hanno effettuato, l’enfasi della memoria diventa strumento per svegliare noi stessi dall’apatia dei sentimenti riscoprendo il piacere di guardare negli occhi la realtà, o almeno qualcuno dei tanti sguardi che affollano diversi spazi della mostra come un glossario di umanità che ci osserva vigile e che ci appartiene profondamente. Perché dentro ciascuno di noi abita quello straniero, solo che ne abbiamo volutamente, cinicamente e con crudeltà cancellato le tracce, come spiega bene Kuwornu. Ma la memoria è un’arma micidiale: è in grado di far riemergere secoli di storia o anche solo un piccolo tratto di vita, un episodio raccapricciante, una calamità, un lamento, un sospiro, una canzone, un oggetto, un luogo…
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