Nel docufilm il vissuto personale della comunità di Masafer Yatta fa eco a una questione più grande, inserendosi all’interno del conflitto israelo-palestinese

Nel 2022, dopo una battaglia legale durata vent’anni, l’Alta Corte israeliana ordina all’esercito di procedere con l’espulsione forzata di circa 1800 palestinesi e di distruggere i loro villaggi al fine di utilizzare il territorio come campo di addestramento militare. No Other Land, girato da un collettivo palestinese-israeliano, si pone in prima linea nel restituire la strenua resistenza di una comunità impegnata in una lotta non violenta per rivendicare il diritto ad abitare le proprie terre. Scenario della protesta è Masafer Yatta, una regione montuosa della Cisgiordania meridionale, costituita da venti villaggi palestinesi e conosciuta per le antiche strutture di pietra e grotte, in molte delle quali vivono gli abitanti della zona, in maggioranza agricoltori. E nonostante i loro insediamenti compaiano sulle mappe dal XIX secolo, l’esercito israeliano non ne ha mai riconosciuto l’esistenza. È all’interno della comunità di Masafer Yatta che è nato e cresciuto Basel Adra, avvocato e giornalista, e regista del film insieme a Hamdan Ballal (fotografo e agricoltore palestinese), a Yuval Abraham (giornalista israeliano) e a Rachel Szor (direttrice della fotografia e montatrice israeliana).

In sala dallo scorso 16 gennaio con Wanted, No Other Land è stato presentato, nel 2024, a numerosi festival ricevendo, tra gli altri, il premio come miglior film e il premio del pubblico nella sezione Panorama alla Berlinale, e quello come miglior documentario e miglior film all’European Film Award (Efa). Ha inaugurato, inoltre, la terza edizione del Rome International Documentary Festival (Ridf) che si è tenuto a Roma, al Nuovo Cinema Aquila, lo scorso dicembre.

«Ho iniziato a filmare quando è cominciata la nostra fine», dichiara Basel Adra, figlio di genitori attivisti, che, all’età di cinque anni, ricorda di aver assistito al primo arresto di suo padre: «la realtà mi ha spinto a essere un attivista, non credo sia stata davvero una scelta. […] A sette anni ricordo che dormivo con le scarpe addosso per prepararmi a un’eventuale irruzione dei soldati in casa dopo le proteste. […] Se non lottavamo, saremmo stati sfrattati dalla nostra terra e avremmo perso la nostra comunità. L’inevitabilità della nostra lotta, in qualche modo, aiutava a gestire la paura».

Il vissuto personale della comunità di Masafer Yatta fa eco a una questione più grande, inserendosi all’interno del conflitto israelo-palestinese che sarebbe scoppiato nell’ottobre del 2023, poco dopo la fine delle riprese del film. No Other Land rappresenta una fondamentale testimonianza dei soprusi e delle discriminazioni in seno a un mondo diviso tra «uomini con le targhe gialle e uomini con le targhe verdi», dove ai primi – gli israeliani – è concesso di spostarsi liberamente, mentre agli altri – i palestinesi – è fatto divieto di lasciare il Paese. E accanto alle drammatiche immagini della demolizione di case e scuole, della privazione di acqua e attrezzi di lavoro, vi sono quelle di una comunità che resiste, unita, nella lotta, affinché non muoia, insieme al coraggio, anche la speranza di «un modo alternativo in cui israeliani e palestinesi possano vivere in piena uguaglianza».

L’autrice: Giusi De Santis è critica cinematografica e saggista. Questa recensione è tratta dal numero di Left di febbraio 2025