Ben vengano i quesiti referendari proposti dalla Cgil contro il lavoro precario e flessibile. La questione però è più ampia, perché la riforma neoliberista con gli incentivi fiscali promuove le mutue aziendali: un vero attacco al Servizio sanitario nazionale e all’articolo 32 della Costituzione
La Cgil ha proposto di abrogare il Jobs act con un referendum. Per il momento l’abrogazione proposta riguarda espressamente questioni giuslavoristiche tutte relative alla flessibilità del lavoro e alla sua precarizzazione. Se consideriamo però il Jobs act un drago grande come una “porta-aerei”, le questioni giuslavoristiche sarebbero una unghia rispetto a quelle ben più corpose e devastanti e che riguardano i rapporti tra impresa, Stato, lavoro e welfare. Il Jobs act, dai più è considerato, giustamente, una riforma neoliberista del lavoro perché al valore sovrano del reddito di impresa viene subordinato tutto, compreso le più elementari ma anche più fondamentali, conquiste dei lavoratori. Nel Jobs act tutto quanto si oppone al reddito di impresa è considerato automaticamente un ostacolo alla crescita del Paese, quindi automaticamente sub veniente e di conseguenza un nemico. Compreso il fisco. Se il fisco non favorisce il reddito di impresa soprattutto in una crisi economica esso diventa il nemico dell’impresa. Questo è il senso liberista di fondo del Jobs act. La più cinica delle controriforme al Ssn Ma nello stesso tempo anche se non viene mai detto, il Jobs act è anche la più cinica controriforma della sanità pubblica e in particolar del Servizio sanitario nazionale e dell’art 32 della Costituzione perché è l’estensione della controriforma neoliberista della ministra Bindi del 1999 (art 9), quella che istituisce la sanità sostitutiva definita “seconda gamba” e che in quanto tale non esita a mettere fuori gioco con delle operazioni fiscali le tutele pubbliche e a far saltare i diritti universali delle persone e a mettere a mercato tali diritti per specularci sopra con una forte privatizzazione. Il Jobs act al Ssn contrappone in forma antagonista il “welfare aziendale”, o meglio, il ritorno contrattualizzato alle mutue del secolo scorso. Per l’impresa tornare alle mutue aziendali nonostante esista un Ssn e attraverso le quali sostituire il Ssn e comprare prestazioni sanitarie dal privato non ha nulla di filantropico, al contrario è una operazione cinica nel senso che tale ritorno non è null’altro che un espediente fiscale che all’azienda consente di ridurre e non di poco il prelievo fiscale obbligatorio a suo carico, l’imposta sul reddito, e accrescere notevolmente i margini dei suoi profitti. Il welfare aziendale è fatto prima di tutto nell’interesse delle aziende non come pensano in tanti nell’interesse per i lavoratori. Ma quando mai.

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