Il docente alla Columbia University di New York racconta le proteste dei giovani contro la guerra a Gaza e anche il loro impegno per l’ambiente. «Hanno una visione politica e culturale che può portare a un miglioramento della società. È un segnale forte»
«Difendo la libertà di espressione dei giovani, non approvo il ricorso alla violenza e all’intervento della polizia con tecniche squadriste e fasciste che mirano a intimidire i manifestanti, a condizionarne pensiero e azione». È netta, lucida e appassionata la difesa degli studenti da parte del professor Marco Tedesco che vive a New York da vent’anni, docente di Climate alla Columbia University, dove da aprile sta divampando la protesta per quanto accade a Gaza per mano di Israele. Tedesco conosce bene le ragioni degli studenti, ne discute con loro quotidianamente: «Hanno una visione politica, che è visione su ciò che accade nella società. Avere una visione politica in questo momento storico non è sbagliato - spiega a Left -. Hanno a cuore che si metta fine al genocidio a Gaza e che i loro soldi non vengano più utilizzati per fomentare questa guerra».
Marco Tedesco, docente di Climate alla Columbia University
Protagonisti di una mobilitazione globale che sta dilagando in tutto il mondo, reagiscono di fronte alla strage di civili e innocenti, ma rigettano anche ogni forma coloniale e sistema di oppressione. Non vogliono soltanto che si fermi il conflitto a Gaza, ma qualsiasi tipo di complicità politica ed economica alla prevaricazione. Il silenzio degli anni passati aveva contribuito a bollare gli stessi giovani che oggi si indignano e si ribellano come apatici e disinteressati: «La reazione di questa generazione, alla quale appartiene per esempio anche mia figlia, studentessa di Barnard College al secondo anno, mi ha sorpreso positivamente. I ragazzi accusati di non avere un pensiero e di essere distaccati dalla realtà hanno invece dimostrato di avere un grande coraggio, rischiando e mettendosi in gioco in prima persona. Il messaggio che arriva è che, nonostante viviamo in un mondo ovattato e nutriamo la paura dell’isolamento, è sorta una coscienza culturale e politica che può portare a un miglioramento. È un segnale forte che mi commuove». Tedesco è testimone dell’impegno di questi ragazzi che si espongono anche senza arrivare ad azioni più estreme come l’occupazione. Si dimostrano interessati anche su altre questioni come l’ambiente e la crisi climatica, che è proprio il suo campo: «Lavoro con un gruppo di studenti che chiedono che la Columbia non finanzi più le compagnie petrolifere. Non c’è però molta trasparenza sui finanziamenti e su come questi vengono spesi. La richiesta da parte degli studenti è chiara, assumono una posizione diplomatica e, dal canto nostro, noi professori cerchiamo di incentivare il dialogo e il confronto con loro. I due movimenti non si sovrappongono, però si incrociano».

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