I detenuti suicidi in carcere sono 44 dall'inizio dell'anno. Il 15 giugno il Consiglio d’Europa ha definito la situazione carceraria italiana “allarmante” ma su quel tema ogni allarme è muto, circondato da un generale disinteresse. Nei casi peggiori siamo nel campo del “se lo meritano”

Sabato se ne sono uccisi due. Sono quattro in due giorni. Sono nove negli ultimi dieci giorni. Sono 44 dall’inizio dell’anno. I suicidi in carcere devono essere considerati “naturali”, come se fossero gli effetti collaterali previsti nella gestione di una discarica sociale. 

Il giornalismo fatica a raccontarli. Non meritano due righe, indipendentemente dal suicida di turno, che sia un detenuto modello, uno che stava per uscire poche settimane dopo oppure chi aveva già dato tutti i segnali possibili di una tragedia in arrivo. 

Il 15 giugno un documento del Consiglio d’Europa definisce la situazione carceraria italiana “allarmante” ma su quel tema ogni allarme è muto, circondato da un generale disinteresse. Nei casi peggiori siamo nel campo del “se lo meritano” perché le carceri dalle nostre parti sono intese come fase terminale di un percorso di espulsione dalla società, con buona pace dell’auspicata riabilitazione scritta su carta. 

Strasburgo “constata con grande preoccupazione” che le misure adottate finora dalle autorità non sono riuscite ad arrestare il fenomeno. L’Ue invita l’Italia “ad adottare rapidamente ulteriori misure e a garantire adeguate risorse finanziarie aggiuntive per rafforzare la capacità di prevenire queste morti”. Dolersi non vale come soluzione. 

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella lo scorso 18 marzo ha chiesto “interventi urgenti e immediati”. La politica dovrebbe prendersi la responsabilità di chiarire, perfino insegnare, che no, che il carcere non è una vendetta ma la politica del “buttare via le chiavi” non se lo può permettere e non ne sarebbe all’altezza. Rimaniamo quindi così. 

Buon lunedì.