La Commissione dell’Unione europea ha avviato la procedura di infrazione per eccesso di deficit, quando esso è superiore al 3% del Prodotto interno lordo annuo. La decisione riguarda sette Paesi dell’Unione: Belgio, Francia, Italia, Ungheria, Malta, Polonia e Slovacchia. Paesi che si aggiungono alla Romania, già ammonita nel 2020, e che non ha ancora corretto la propria posizione.
In corrispondenza temporale con l’avvio di queste procedure si è riaperto il contenzioso che riguarda la ratifica definitiva della riforma del Mes.
Ma di cosa si tratta? Il Mes, ossia il Meccanismo europeo di stabilità, è uno strumento nato nel 2012 con l’obiettivo di offrire sostegno ai Paesi dell’area dell’euro che si trovino ad affrontare crisi finanziarie. La riforma è stata approvata da tutti i Paesi dell’Unione tranne che dall’Italia, e con essa si sono introdotti due cambiamenti principali.
Primo: lo strumento definito Fondo di risoluzione unico, che ha la funzione di assicurare sostegno agli istituti bancari in difficoltà. Con una disponibilità di circa 77 miliardi di euro, il Fondo garantirebbe la protezione dei conti dei correntisti delle banche in crisi, salvando i loro risparmi.
In secondo luogo, la riforma prevede un ruolo operativo più efficace del Mes stesso nella gestione delle crisi e del processo di erogazione dell’assistenza finanziaria. In sostanza, il Mes opererebbe a fianco della Commissione europea, senza sostituirsi ad essa, con un processo di cooperazione tra queste due istituzioni che deve essere oggetto di un accordo specifico. Insomma, in parole povere, evitando che i vituperati “burocrati di Bruxelles”, figura tanto cara a Salvini, si sostituiscano al ruolo delle istituzioni politiche. Cosa c’è dunque di male nel Mes? In sintesi, nulla.
Il famoso “effetto stigma” evocato dalla destra italiana per giustificare la mancata ratifica, non esiste, perché sottoscrivere la riforma non corrisponde all’obbligo di “sottomettersi” al ruolo del Mes. Esso può essere attivato solo su richiesta del Paese che si trovi in una condizione critica e con il beneplacito degli altri.
Viene il dubbio, invece, che oggi il governo Meloni possa utilizzare la trattativa sulla ratifica, in pratica un atto dovuto, come strumento di pressione per ottenere dagli altri Paesi posizioni e ruoli di maggior rilievo nelle future istituzioni europee che sono il risultato del voto del 9 giugno. Un gioco pericoloso che, invece, rischia di irritare gli altri partner dell’Unione. Diceva qualcuno “molti nemici, molto onore”. La storia ha ampiamente dimostrato quanto avesse torto.
IL FERMAGLIO di Cesare Damiano, già sindacalista e parlamentare in tre legislature, è stato ministro del Lavoro ed è presidente dell’associazione Lavoro & Welfare