«È disumano come è stato trattato e lasciato morire Satnam Singh», denuncia il segretario generale della Flai Cgil). «E il suo non è l’unico caso». Aboliamo la Bossi Fini e liberiamoci del sistema di produzione neoliberista
Non è stata una fatalità. L’assassinio di Satnam Singh si sarebbe potuto evitare. Ma per il padrone, che lo ha abbandonato per strada dopo l’incidente sul lavoro, la vita del giovane lavoratore di origini indiane non contava niente. Ha prevalso la logica spietata del profitto, insieme al razzismo. In Italia ci sono 450mila lavoratori “fantasma” come lui, che tutti i giorni sono sfruttati, costretti a lavorare in condizioni da schiavismo rischiando la vita sui campi. Molti di loro il 22 giugno scorso hanno scioperato e poi hanno partecipato alle due manifestazioni organizzate dalla Flai e dalla Cgil a Latina, chiedendo di essere regolarizzati, chiedendo diritti e di non dimenticare Satnam e la sua giovane moglie Sony. Per lei la Cgil ha lanciato una raccolta fondi e ha ottenuto il permesso di soggiorno, così come per il lavoratore precario che ha deciso di testimoniare. «La nostra segretaria Flai Cgil di Frosinone e Latina, Laura Hardeep Kaur, che è sikh di seconda generazione ha ospitato Sony nei primi giorni, le sta accanto parlando la sua lingua. Sony è ancora molto provata, scioccata», racconta il segretario generale della Flai Cgil Giovanni Mininni.
«Quella di Satnam Singh è una morte assurda. Ha colpito tutti quanti anche perché è di una atrocità inaudita». La sua morte non è stata la conseguenza di un casuale incidente, e tanto meno di una sua «leggerezza» nell’uso della macchina avvolgi-nylon come ha insinuato il datore di lavoro di Satman ( peraltro già sotto indagine da anni per caporalato). «È disumano come è stato trattato questo giovane di 31 anni, abbandonato per strada perché non serviva più - commenta il segretario Mininni - scaricato davanti alla porta casa, con il braccio tranciato e messo in una cassetta della frutta. I datori di lavoro non lo hanno portato in ospedale perché temevano di essere scoperti. La banalità del male...»
Quello di Satnam Singh purtroppo non è un caso isolato.
No, non lo è affatto. La sua storia mi ricorda quella di Soumaila Sacko, il giovane lavoratore maliano che venne ucciso per una banalità con un colpo di fucile solo perché stava prendendo due lamiere in mezzo a un pezzo di terra giù in Calabria.
Satnam con la moglie Sony era arrivato dall’India con la promessa di un lavoro e di un futuro, poi cosa è successo?
Era stato chiamato da un imprenditore. Aveva un permesso di lavoro ma, come succede nell’ottanta per cento dei casi, non è stato rinnovato perché il contratto non era stato confermato. Quando scadono i permessi temporanei questi padroni preferiscono far lavorare in nero. Satnam ha lavorato in questa condizione per diversi anni. Come tanti altri era diventato un lavoratore “invisibile” della raccolta in campagna. Da chi lo sfruttava non era considerato un essere umano.
Questo articolo è riservato agli abbonati
Per continuare la lettura dell'articolo abbonati alla rivista
Se sei già abbonato effettua il login