Il Senato ha approvato il ddl Casellati. Per riuscire a fermare questa pericolosa “deforma” e attuare la Costituzione, bisogna ricostruire una cultura politica diffusa che rimetta al centro i diritti sociali e la solidarietà
Nel nostro Paese la forma di governo parlamentare è consustanziale all’unità nazionale e alla proclamazione del Regno d’Italia, spezzata solo dalla dittatura fascista nel ventennio e prontamente ripristinata dal voto popolare subito dopo la Liberazione. Quando, nel 2022, Fratelli d’Italia si presentò alle elezioni, la volontà di modificare l’assetto costituzionale nato dalla Resistenza introducendo un populismo tecnico fondato molto più sulla “governabilità” che sulla giustizia sociale era dichiarata. Il presidenzialismo, si leggeva al punto 24 del programma elettorale di FdI, è «la più potente misura economica di cui necessita l’Italia», indispensabile per assicurare «stabilità governativa e un rapporto diretto tra cittadini e chi guida il governo».
Dopo venti mesi di governo Meloni, caratterizzati dalla sistematica occupazione di ogni possibile spazio di potere, sembra più attuale che mai la domanda se sia lecito - a un partito che non ha mai reciso i legami che da Alleanza nazionale risalgono al Movimento sociale italiano, e da lì alla Repubblica sociale italiana - parlare di rapporto diretto «tra cittadini e chi guida il governo» senza evocare lo spettro di un governo autoritario. «Antifascismo e democrazia coincidono, e questa coincidenza ha la sua tavola fondativa nella Costituzione. È un caso che chi non vuole dichiararsi antifascista sia lo stesso che, la Costituzione, vuole cambiarla?» chiede il presidente emerito della Corte costituzionale Gustavo Zagrebelsky.
L’attuale governo conta su una maggioranza composta da un numero di seggi schiacciante, risultato di elezioni disertate da 17 milioni di italiani, e di una legge elettorale sbilanciata al punto da aver costretto l’opposizione a un ruolo quasi testimoniale. È con un Parlamento ridotto di numero e leso nella propria credibilità grazie al sistematico ricorso alla decretazione d’urgenza, che oggi ci avviamo sulla strada delle riforme volute da un governo che, dopo aver fatto bottino degli spazi mediatici e istituzionali, ha preso per sé più di mille nomine tra enti, ministeri, consigli di amministrazione delle società partecipate, e ha attaccato e messo limiti agli organi di controllo autonomi, dalla Corte dei conti all’Autorità nazionale anticorruzione, da Bankitalia alla Ragioneria dello Stato.
Questo articolo è riservato agli abbonati
Per continuare la lettura dell'articolo abbonati alla rivista
Se sei già abbonato effettua il login