It’s Kamala time. Dopo la rinuncia di Joe Biden alla corsa per le presidenziali di novembre, è arrivato il suo endorsement per la sua vice. E a cascata quello di governatori e astri nascenti come Newsom e Withmer. Rappresentano una reale investitura per Kamala Harris? Qualcuno malevolo ha insinuato che sono il bacio della morte. Quali potranno essere i prossimi sviluppi? Lo abbiamo chiesto a Riccardo Alcaro, coordinatore delle ricerche e responsabile del programma “Attori globali” dello Iai.
«L’endorsement di Biden era già di per sé sufficiente a fare di Kamala Harris la prossima candidata presidenziale per i Democratici. Dopotutto è la candidata naturale alla successione, dal momento che Biden l’aveva confermata come nomina vice-presidenziale anche per quest’anno (e quindi è indirettamente legittimata dal voto delle primarie che Biden aveva vinto)», risponde Alcaro.
Quali sono i vantaggi di cui Kamala Harris dispone per la campagna elettorale?
Per esempio può avere immediato accesso alle finanze della campagna elettorale, un fattore decisivo visto che all’elezione non manca molto. E rappresenta una novità assicurando allo stesso tempo continuità con l’agenda di Biden, che è la cosa che preme di più al presidente. Gli endorsement che sono seguiti da parte dei vari governatori democratici considerati potenziali papabili – da Gavin Newsom (California) a Gretchen Whitmer (Michigan) a Josh Shapiro (Pennsylvania) – sono la naturale conseguenza di queste premesse. Senza considerare che la percezione di voler estromettere una donna nera dalla corsa presidenziale avrebbe comportato costi potenzialmente alti per chiunque. Infine, la priorità dei Democratici resta dopotutto quella di sconfiggere Trump e il Repubblicanesimo MAGA, e per farlo non sono evidentemente disposti a correre il rischio di una convention aperta che avrebbe mostrato le loro divisioni. Tutt’altro che bacio della morte, direi che gli endorsement per Harris certificano la candidatura più solida a disposizione dei Democratici oggi.
Sulla questione dell’aborto Kamala Harris potrebbe fare una battaglia che le valga il voto femminile, denunciando la scellerata cancellazione del diritto delle donne a livello federale?
Assolutamente sì. Anzi, bisogna dire che già lo sta facendo da tempo. Da quando la Corte Suprema nel giugno 2022 ha annullato 50 anni di precedenti e negato che l’aborto sia un diritto protetto dalla Costituzione, Kamala Harris è stata in prima linea nel difendere il diritto all’aborto, ed è anzi la questione su cui è stata più efficace. L’aborto è uno dei temi centrali di quest’elezione e Harris continuerà a insistervi fino allo sfinimento.
Harris come si pone rispetto a quel che sta accadendo a Gaza? Potrebbe recuperare una parte dei voti perduti da Biden, contestato dagli studenti nei campus, che in larga parte sono anche di origini ebraiche e dicono due volte “not in my name”?
Harris è stata la prima dell’Amministrazione Biden a invocare apertamente un cessate il fuoco a Gaza, e ha fatto in modo di non essere a Washington per presiedere il Senato il giorno dell’appello di Netanyahu al Congresso. Detto questo, la critica aperta a Israele resta un campo minato per i politici Usa e Harris non vorrà esporsi troppo sull’argomento in campagna elettorale. Senza contare che fino a gennaio la politica estera resta nelle mani di Biden.
Il passato da procuratrice di Harris, all’insegna di legge e ordine, e le sue non felicissime uscite riguardo agli immigrati ( “Non vi vogliamo negli Stati Uniti”) come la posizionano rispetto agli ispanici e alla comunità nera che, in particolare dopo l’uccisione di George Floyd, è scesa in piazza al grido Black lives matter?
Harris non è mai stata la candidata ideale dell’area progressista che ha posizioni più morbide sull’immigrazione, ma ci sono pochi dubbi che la stragrande maggioranza dei progressisti la sosterranno comunque in chiave anti-Trump. Non so dire se le posizioni di Harris sull’immigrazione possano avere un grande impatto sull’elettorato nero e ispanico, dal momento che anche in questi due gruppi la questione immigrazione è un tema controverso. L’opposizione all’immigrazione non è limitata all’elettorato bianco.
Pur fra mille contraddizioni Biden, da vecchio democratico, è stato al fianco dei sindacati e dei lavoratori, chi potrebbe proseguire su questa strada fra i democratici?
Tutti i maggiori sindacati hanno immediatamente spostato il loro sostegno da Biden a Harris. È lei quindi il loro riferimento in quanto rappresenta la continuità con Biden. È possibile che Harris scelga come suo vice un governatore dell’area del Midwest (Pennsylvania, Illinois o Michigan) o dell’Appalachia (Kentucky), e in questo caso si tratterà di qualcuno pro-sindacati.
Il comizio di Trump, dopo il suo tentato assassinio, è stato per una piccola parte ecumenico e rassicurante, poi ha cominciato a parlare a braccio, con la sua retorica violenta e messianica, davanti a un partito repubblicano completamente trumpizzato. Quanta presa reale può avere questa sua narrativa sul Paese e su quali aree in particolare?
Trump ha innegabilmente una presa solidissima sull’elettorato conservatore, la maggior parte del quale si è convertito al tipo di conservatorismo populista, nativista, ipernazionalista e protezionista che l’ex presidente incarna. Per quanto grande, l’elettorato conservatore è lontano dall’essere la maggioranza assoluta tuttavia. Trump insisterà tantissimo su immigrazione, crimine e inflazione per allargare la sua base elettorale e vincere le elezioni.
Qual è il ruolo di quel furbacchione del suo vice, JD Vance, passato dal paragonare Trump a Hitler ad assumerne le idee più estreme?
Trump in questo momento è favorito, sondaggi alla mano. Ma se la corsa si fa molto vicina Trump potrebbe scontare la scelta di JD Vance, che è una sua copia giovane e che è selezionato per dare continuità al progetto ideologico e programmatico del Repubblicanesimo MAGA invece che per aumentare l’appeal di Trump presso gruppi elettorali dove l’ex presidente non è particolarmente forte.