Mentre è da poco uscita per Einaudi la raccolta essenziale di versi "Il mio felice niente", il Macro di Roma, fino al 26 agosto, dedica una importante mostra alla poeta scomparsa nel 2022

«La poesia di Patrizia Cavalli si presenta come un variopinto teatro di passioni- scrive il critico Filippo La Porta – come un sapere antropologico in musica, come una “commedia umana” che racconta meglio di tanti romanzi la contemporaneità». L’occasione per parlare con lui della poesia di Patrizia Cavalli è l’uscita per Einaudi della scelta di versi essenziale Il mio felice niente (1974 -2020) a cura di Emanuele Dattilo, ma anche la mostra che le dedica il Macro di Roma fino al 25 agosto.

Quella di Patrizia Cavalli è «poesia felicemente inclassificabile – approfondisce La Porta -. priva di modelli riconoscibili, diaristica, di aforistica densità riflessiva, di settecentesca grazia, incline alla messinscena. Una poesia ragionante e non “ragionevole”, perché sempre rovescia il senso comune». Come lei stessa ci ricorda: «Non sono nata per essere ragionevole…sono nata per essere felice».  Potremmo dire, approfondisce il critico e musicista che il suo è «Pensiero emotivo in versi (da tutti fruibili) entro una tradizione italiana in cui “ragionare” – notava Cardarelli – è sinonimo di “poetare”. Ha raccontato in versi di straordinaria cantabilità luoghi, case, amici, soldi, destino, piaceri e dispiaceri, amore e morte, intrecciando profondità “filosofica”, levità di tocco e apparente svogliatezza». Di tutto questo troviamo eco nella mostra Il sospetto del paradiso curata da Luca Lo Pinto, che ci invita a riscoprire il percorso di questa figura cardine della poesia del Secondo Novecento. Nata a Todi, in Umbria, nel 1947, arrivò a Roma a 21 anni. Durante gli studi di filosofia conobbe Elsa Morante, che scoprì in lei la vocazione per la poesia e dalla cui frequentazione sarebbe nata la sua prima raccolta, Le mie poesie non cambieranno il mondo (1974, a cui Annelana Benini dedicò un cortometraggio edito da Fandango). L’ultima, Vita meravigliosa sarebbe stata pubblicata nel 2020 da Einaudi.
Le poesie di Cavalli piacciono a tutti perché sono brevi, semplici, immediate, accessibili, parlano una lingua quotidiana, pur nascondendo metriche classiche e una tecnica poetica raffinata. Le ultime letture di Cavalli all’Auditorium di Roma (alcune si possono trovare su YouTube), erano gremite di gente che andava a sentirla leggere. In queste occasioni affiorava il romano evitato da Cavalli nella composizione poetica (“so’ rimbambita”; “ero ‘mbriaca”).
«Salivo così bene le scale / possibile che io debba morire? Ma adesso / che cazzo vuole da me questo / dolore al petto quasi al centro! Che faccio, muoio? / O resto e mi lamento?» (Datura, 2013).
Il percorso espositivo proposto dal Macro, che resta aperto al pubblico fino al 25 agosto, attraverso oltre 200 fotografie scattate da Lorenzo Castore, ricostruisce la storia della celebre casa di Via del Biscione, vicino a Campo de’ Fiori, importante luogo di incontro culturale della capitale dove Cavalli trascorse quasi 50 anni.
Le fotografie esposte sono state scattate nell’arco di una settimana, due mesi dopo la sua morte nel 2022, a 75 anni. Nell’ultima fase della sua vita, le cure per il cancro le avevano tolto le energie. Cavalli aveva dichiarato dolorosamente di non provare più amore da anni.
A documentare gli interni disabitati della casa, nel percorso espositivo, una selezione di scatti in bianco e nero e a colori, i cui protagonisti sono oggetti, ritratti, manoscritti, mobili, opere di amici artisti, conservati dalla poeta nel corso della sua vita.
La fotografia materica di Castore restituisce certamente il mondo domestico della poesia di Cavalli, fatto di odori, lenzuola, tovaglioli, gatti, sguardi, supplì.
Ma il percorso del Macro prevede anche una selezione di manoscritti e dattiloscritti, che rivelano la raffinata tecnica, caratterizzata da strutture metriche classiche e un lessico d’uso quotidiano. Viene mostrato e approfondito il processo poetico: dall’annotazione, alla costruzione, alla limatura. La mostra restituisce la ricerca metrica, stilistica e musicale di Cavalli. Una teca espone inoltre 105 ritagli di carta con annotate le liste della spesa e i pensieri della poeta.
L’esposizione propone anche i progetti editoriali a cui prese parte Cavalli; tra questi le collaborazioni con artisti visivi e gli scritti sull’arte. Nella mostra sono presenti infatti saggi per cataloghi di mostre, poesie o opere di prosa dedicate ad artisti, contributi autoriali e pubblicazioni nate da amicizie e conoscenze.
La proiezione del video di Gianni Barcelloni dalla serie “Il navigatore. Ritratti di scrittori”, permette inoltre di osservare Patrizia Cavalli mentre legge le sue poesie attraversando la casa romana e ci restituisce la poeta attraverso il dialogo con il regista: la sentiamo riflettere sulla noia, l’amore, la morte, la felicità e l’infelicità.
Su Cavalli c’è anche il documentario “Le mie poesie non cambieranno il mondo”, presentato in anteprima all’ottantesima Mostra del Cinema di Venezia, diretto da Annalena Benini e Francesco Piccolo e dedicato al racconto dell’ultimo tratto della sua vita.
Nel film riaffiora una provincia umbra odiata e “orribile”, da cui la poeta voleva fuggire il prima possibile, e un’euforia verso il gioco d’azzardo che rimane intatta nel racconto della sua incontrollata passione per il poker. A questo, nonostante le gravi perdite, si sarebbe dedicata fino al disgusto: perché stando alle sue parole “l’unico denaro degno di essere posseduto è quello vinto per sorte o regalato” mai quello sudato.
Quando le domande si fanno generiche o intrusive la poeta non si fa problemi a maltrattare i registi. Il documentario, alternando immagini del passato più o meno recente, ci mostra come effettivamente, nel corso del tempo, Patrizia Cavalli fosse cambiata ben poco e rimasta sempre fedele a se stessa, con la sua simpatia, il suo carattere spigoloso e pungente, e il suo immancabile caschetto, anche se rado e indebolito dalla malattia.
Nel film seguiamo Cavalli nelle stanze della casa che ci viene raccontata dalla mostra del Macro “Il sospetto del paradiso”, dove torniamo a vivere la sua poesia attraverso, gli oggetti, le immagini e i ricordi.