Migliaia di Comuni e milioni di abitanti tra le Alpi e gli Appennini con l’attuazione dell’autonomia differenziata rischiano di essere ancora più esclusi dai servizi fondamentali come istruzione, sanità e trasporti
Per aree interne si intendono i Comuni italiani più periferici in termini di accesso ai servizi essenziali. Il grado cioè di accessibilità per i cittadini di uno specifico comune alle infrastrutture e ai servizi pubblici essenziali, come la vicinanza alle strutture della sanità pubblica, la possibilità di accedere facilmente all’istruzione secondaria e la prossimità alle infrastrutture dedicate alla mobilità. Da questi parametri discende una classificazione di tutti i comuni italiani. Complessivamente nelle aree di progetto coinvolgono 1.904 Comuni, in cui vivono 4.570.731 abitanti La maggior parte delle aree interne si concentra nei territori alpini e appenninici, presentano un significativo spopolamento e una mancanza di servizi base per i cittadini (sanità, istruzione, mobilità), ma al contempo possiedono una disponibilità elevata d’importanti risorse ambientali (risorse idriche, sistemi agricoli, foreste, paesaggi naturali e umani) e culturali (beni archeologici, insediamenti storici, abbazie, piccoli musei, centri di mestiere). A parte le peculiarità storiche, culturali e naturali di ciascun territorio, una quota rilevante delle aree interne ha subito gradualmente, dal secondo dopoguerra a oggi, un processo di marginalizzazione e fragilizzazione, dovuto principalmente alla migrazione verso i centri economici del Paese. Tale processo ha infatti causato la progressiva perdita del capitale umano e di conoscenze compromettendo spesso il sistema di relazioni territoriali e le possibilità di sviluppo economico, culturale e sociale. Per invertire o almeno mitigare i processi di marginalizzazione e spopolamento che caratterizzano la maggior parte delle aree interne, la strategia prevista dal comitato tecnico per le aree interne ha individuato 72 aree pilota (27 al Nord, 13 al Centro e 32 nel Mezzogiorno) tenendo in considerazione le peculiarità dei territori e sulla base di parametri e indicatori, quali la situazione demografica, le condizioni sociali ed economiche, l’accessibilità ai servizi. Le 72 aree selezionate includono 1.060 comuni (il 13,4% del totale), circa 2 milioni di abitanti (3,3%) e il 17% del territorio nazionale. Per accedere ai fondi le aree pilota hanno dovuto presentare in forma associata un programma di interventi e gestione delle risorse che ricorda quelli previsti dal Pnrr. E qui già possiamo intravedere una coazione a ripetere che non può che danneggiare quei territori che più di altri hanno subito tagli al personale amministrativo causata negli anni scorsi da austerity e spending review, considerando che gli interventi prevedono la convergenza delle azioni di tutti i livelli di governo: Stato centrale, Regioni e Comuni. Infatti in Italia, dal 2001 al 2021, i dipendenti pubblici grazie alla spending review sono diminuiti da 450mila a 320mila, un calo avvenuto, malgrado la propaganda leghista, in larghissima parte nel Mezzogiorno dove i Comuni non hanno più personale per servizi essenziali e mancano i tecnici così come accade anche appunto per il Pnrr della cui quota 40% destinata al Sud, non a caso, nessuno più ne parla. Evidentemente evaporata. Come si evince dalla relazione Bankitalia del mese scorso in Italia abbiamo infatti il rapporto dipendenti pubblici/popolazione più basso d’Europa. Questi inoltre sono più anziani e meno istruiti rispetto alla media europea. Mancano centinaia di migliaia di lavoratori pubblici rispetto a Paesi come Francia e Svezia, eppure il governo Meloni li vuole ridurre ancora, “usando il machete”. Non a caso è notizia recente che i rinnovi dei Ccnl pubblici non recupereranno l’inflazione. Adeguare i salari all’inflazione costerebbe 30 miliardi, il governo ne ha stanziati solo 8. Vuol dire che il rinnovo 2022-2024 comporterà una riduzione reale dei salari per almeno 22 miliardi, in un Paese che già vede i salari non aumentare da un trentennio. Una strategia miope, ma utile a disarticolare lo Stato, cosi come si vuole fare con l’autonomia differenziata che ha appena avuto il via libera, e far crollare del tutto la fiducia dei cittadini, prodromica a privatizzazioni in ogni ambito.

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