Mentre si attendono la pubblicazione e la libera consultazione dei registri di voto promesse dal presidente del Venezuela, molte Ong ma anche esponenti di The Left come Carola Rackete criticano la poca trasparenza che ha contrassegnato le elezioni e denunciano la mancanza di democrazia

Il Consiglio nazionale elettorale del Venezuela (Cne) il 6 agosto ha consegnato alla Corte suprema (Tsj), su richiesta del presidente Nicolás Maduro, la documentazione che ne comproverebbe la presunta vittoria il 28 luglio scorso.
La presidente della Corte Suprema, Caryslia Rodríguez, ricopre anche la massima carica nella Camera elettorale (Sala Electoral) ed è militante attiva del partito di Maduro, il Partido socialista unido de Venezuela (Psuv). Una ricerca condotta dall’ong Acceso a la Justicia dimostra che dei cinque membri della Camera elettorale soltanto una di loro, la magistrada Indira Alfonzo, rispetta i requisiti costituzionali richiesti per assumere l’incarico. Lo stesso vale per l’organo massimo della giustizia venezuelana, la Corte suprema, dove non soltanto la presidente della Corte, come i vicepresidenti, Edgar Gavidia Rodríguez e Tania D’Amelio Cardiet, sono stati militanti e candidati per il partito di Maduro, in netta violazione dell’aert 256 della Costituzione venezuelana.
L’opposizione a Maduro è stata fatta negli anni anche da partiti e movimenti di sinistra, come Bandera Roja, Podemos, Patria Para Todos, Movimiento Electoral del Pueblo, l’Alternativa Popular Revolucionaria, Marea Socialista e il Partido Comunista de Venezuela, fondato nel 1931 e storico alleato di Hugo Chávez. Tutte queste forze, non solo le destre, hanno subito, negli anni, interventi della Corte suprema al fine di bloccare le loro candidature e destituire le loro leadership, al fine di nominarne di nuove, più favorevoli al regime. Sono partiti che gridano alla violazione dei diritti umani, civili e politici dei venezuelani, per parte del governo Maduro, e dei suoi militari, subendo, al pari dell’opposizione di destra, capitanata da María Corina Machado Parisca, campagne di fango, intimidazioni, arresti, sequestri e coercizioni varie.
Fino a ieri, ovvero, ad una settimana dal primo annuncio della vittoria di Nicolás Maduro, per altri sei anni alla presidenza del Venezuela, i registri di voto dei seggi elettorali (actas eletorales) non sono stati resi pubblici, sollevando dubbi sull’integrità del conteggio che ne consacra il successo elettorale, e portando Paesi storicamente allineati al governo venezuelano, come il Brasile, la Colombia e il Messico, a rilasciare il primo agosto scorso un comunicato congiunto, con la richiesta di pubblicare i registri firmati dai presidenti di seggi, scrutatori e segretari, nel rispetto della legge del Paese. Si allineavano così al comunicato emesso il 29 luglio dal Paraguay, Argentina, Costa Rica, Ecuador, Guatemala, Panama, Perù, Repubblica Dominicana e Uruguay, in cui, con nota congiunta richiedevano la revisione dei risultati alla presenza di osservatori internazionali indipendenti.
Netta la spaccatura di Maduro anche con il presidente del Cile, anch’egli di sinistra, Gabriel Boric, che ha espresso più volte i suoi dubbi sulla vittoria del caudilho venezuelano, invitando le organizzazioni internazionali a controllarne i risultati.
Alla posizione di questi Paesi, tanto governati dalle destre, quanto dalla sinistra, si sono affiancati, sempre con un comunicato, Italia, Francia, Germania, Spagna, Portogallo, Paesi Bassi e Polonia.
Al momento, Edmundo Gonzalez Urrutia, il candidato dell’opposizione, con un progetto di governo neoliberista, risulta riconosciuto legittimo presidente da Argentina, Uruguay, Costa Rica, Ecuador, Perù, Panama e Stati Uniti. A Maduro, invece, sono arrivate le congratulazioni di Russia, Cina, Iran, Cuba, Bolivia, Nicaragua e Honduras.

L’origine dei dubbi sul risultato e la rivolta dell’opposizione, tra morti e feriti

L’alba del 29 luglio il Consejo nacional electoral (Cne), l’organo di governo che esercita il controllo elettorale nel Venezuela, ha annunciato la vittoria di Maduro. Prima dell’annuncio, il Cne ha affermato che il sistema era stato oggetto di attacchi informatici, senza offrine prove. Con un’affluenza del 59% e l’80% delle urne scrutinate, Nicolás Maduro avrebbe vinto con il 51,2% dei voti validi. Edmundo González, il candidato scelto dai principali partiti di opposizione, uniti nella Piattaforma unitaria democratica (Pud), sarebbe arrivato secondo, con il 44,2%. Il 02 agosto, il presidente del Cne, Elvis Amoroso, conferma la vittoria di Maduro con numeri leggermente ritoccati, asseverando lo scrutinio di 96,87% delle schede elettorali. Ancora una volta, nessun documento è stato presentato a conferma del risultato paventato alla stampa.
Il sito web del Cne, che dovrebbe fornire informazioni dettagliate, risulta non consultabile dalla notte del conteggio.
Con la pubblicazione delle “actas”, il Cne potrebbe rilasciare le credenziali a esperti indipendenti per verificare l’autenticità dei voti, , come il municipio e la sessione, nonché il numero di voti ricevuti per ciascuno dei candidati.
Di fronte all’opacità e alle reticenze del governo Maduro, perfino una figura storica e molto rispettata nella Sinistra latinoamericana, l’ex presidente uruguaiano José Mujica, afferma di avere dubbi sul risultato delle elezioni venezuelane, dissociandosi della posizione pro Maduro del Movimiento de Liberación Nacional-Tupamaros (Mln-T), che contribuì a fondare, negli anni Sessanta, e per il quale è stato imprigionato, tra il 1972 e il 1984, per aver contrastato la dittatura civico-militare uruguaiana, che ne faceva un prigioniero politico ad ogni 450 abitanti. Raggiunto dalla stampa il 30 luglio, Mujica (ex presidente e candidato per un posto da senatore alle elezioni  che si terranno a novembre in Uruguay ndr) ha parlato dell’inesistenza di «informazioni credibili» su quanto accaduto nelle elezioni venezuelane. Qualche mese prima, Mujica aveva già dichiarato che «in Venezuela c’è un governo autoritario. Chiamatelo una dittatura, chiamatelo come volete».
L’Ong venezuelana Monitor de Víctimas ha già contato 22 morti, per la maggior parte ventenni, nel corso delle proteste contro la mancata trasparenza delle elezioni e l’assegnazione della vittoria a Maduro, che annuncia l’irrigidimento delle misure repressive, con carceri di massima sicurezza e campi di rieducazione per i manifestanti. L’Ong Foro Penal, che offre assistenza giuridica gratuita agli oppositori del regime venezuelano, denuncia la negazione del diritto all’ampia difesa e ad un equo processo agli arrestati, i quali non hanno diritto alla nomina di un legale di fiducia, ma sono costretti ad accettare difensori pubblici assegnati dal governo Maduro. Secondo i dati divulgati da Foro Penal, 90 minorenni sono trattenuti in carcere e senza alcun contatto con la propria famiglia.
Uno dei loro legali, Kennedy Tejeda, di 24 anni, è stato arrestato per aver chiesto informazioni sul numero di detenuti presso un commando di polizia. Tradotto alla Dirección general de contrainteligencia militar (DGCIM) della città di Valencia Edo Carabobo, risulta irraggiungibile e senza diritto a difesa.

La spaccatura nella sinistra italiana ed europea
Per Maduro è in corso «un colpo di Stato cyber-fascista e criminale» ed i Paesi che mettono in discussione il processo elettorale venezuelano sono «subordinati a Washington e apertamente impegnati nei più sordidi postulati ideologici del fascismo internazionale». Di lì la decisione di cacciare dal Paese le rappresentanze diplomatiche di Argentina, Cile, Costa Rica, Panama, Perù, Repubblica Dominicana e Uruguay, isolando ancor di più i venezuelani, già flagellati dal blocco economico imposto dagli Usa.
L’autoritarismo di Maduro e le sue forze, la repressione indiscriminata anche agli attivisti e difensori dei diritti umani, più volte denunciati da organizzazioni umanitarie come Human Rights Watch e Amnesty International, ed esposti nel corso della 55a sessione del Consiglio dei diritti umani dell’Onu da Marta Valiñas, presidente della missione internazionale indipendente d’inchiesta sulla Repubblica bolivariana del Venezuela, sembrano non destare scalpore tra i tanti membri dei partiti legati alla Sinistra europea, chiamati da Maduro per attuare come “osservatori” alle presidenziali dopo aver ritirato, unilateralmente, l’invito agli osservatori europei indipendenti.
Per l’invitato a Caracas, come osservatore elettorale, Marco Consolo, coordinatore del Gruppo di lavoro sull’America Latina di Sinistra europea, nonché responsabile dell’area “Esteri e Pace” per Rifondazione comunista, le elezioni venezuelane sono state «un successo», la polemica sulla mancata pubblicazione dei verbali, sarebbe un falso problema. Soddisfatto del risultato, sulla pagina di Rifondazione, Consolo scrive che il popolo venezuelano non si è piegato «alle 930 misure coercitive unilaterali» con cui «gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno cercato di mettere in ginocchio il Paese» prendendolo «per fame e stenti». L’analisi dettagliata delle sanzioni europee, però, rivela che non sono di natura economica: sin dal 2017 l’Ue mantiene un embargo sulle armi e sulle attrezzature per la repressione interna, e il divieto di viaggio e congelamento dei beni di 54 uomini e donne di fiducia di Maduro, accusati di violazione dei diritti umani, di aver compiuto attentati alla democrazia e allo stato di diritto in Venezuela. Per Consolo, le parole di condanna dell’europarlamentare di The Left Carola Rackete al regime di Maduro sarebbero «di destra» ed «infelici». Consolo afferma che all’interno del gruppo di lavoro sull’America Latina di Sinistra Europea, che coordina, il sostegno al dittatore Maduro è pressoché unanime, trattandosi di «compagni e compagne che conoscono a fondo il continente sudamericano». Tale posizione non sarebbe condivisa dal Partito Democratico, duramente criticato nella live, per il suo posizionamento contrario a Maduro.
L’entusiasmo di Sinistra Europea per il risultato elettorale favorevole a Maduro, che non sarebbe un “dittatore” ma vittima di “chiacchiere virtuali” e “cattiva informazione” per parte della stampa italiana, sempre secondo Consolo, è stato manifestato in un post maldestramente cancellato su X, la piattaforma di Elon Musk, uno dei grandi responsabili, per Maduro, del tentativo di golpe di Stato, assieme a Corina Machado. Nel messaggio, a corredo della foto di un gruppo di parlamentari europei, recatosi in Venezuela, in qualità di osservatori, si attestava la trasparenza del processo elettorale del Paese, adducendo di averlo fatto assieme al Cne, ad una organizzazione chiamata Ceela, al Centro Carter, alle Nazioni Unite e al Grupo de Puebla, quest’ultimo fondato da esponenti di punta della Sinistra mondiale, come Pepe Mujica, Lula, Luis Arce, Dilma Rousseff, Alberto Fernandéz ed Evo Morales.
Eppure, le affermazioni sul post di Sinistra Europea, sembrano in aperto contrasto con quanto dichiarato dagli organi di controllo: tanto il Centro Carter quanto le Nazioni Unite, nonché il Grupo de Puebla, hanno dichiarato di voler attendere la pubblicazione e libera consultazione dei registri di voto, come promesso da Maduro, sollecitando la massima trasparenza al Governo. Per quanto riguarda il Grupo de Puebla, esso non ha poteri per certificare elezioni.
Per il Centro Carter, invece, «le elezioni presidenziali del Venezuela del 2024 non hanno rispettato i parametri e gli standard internazionali di integrità elettorale e non possono essere considerate democratiche». Il vice capo della missione del Carter in Venezuela, Patricio Ballados, ha dichiarato a DW Interview che «un attacco via internet è praticamente impossibile al sistema», riferendosi alle accuse mosse dal governo di Nicolás Maduro di un tentativo di hackeraggio al Cne. Inoltre, l’esperto ha elencato una serie di irregolarità che, se fossero capitate in Europa, avrebbero fatto gridare allo scandalo partiti ed elettori, a prescindere dallo schieramento, come l’impedimento ad oltre 5 milioni di venezuelani, migrati all’estero, di votare, gli ostacoli e la burocrazia imposta ai candidati dell’opposizione, e la massiccia propaganda elettorale pro Maduro, via radio e tv, senza diritto a par condicio. Ballados spiega che il Centro Carter, sebbene invitato come osservatore dallo stesso governo Maduro, e rimasto per circa un mese con i suoi esperti in Venezuela, non aveva avuto accesso al luogo in cui il conteggio dei voti avveniva, essendo concesso l’ingresso soltanto al personale di governo.
L’unico ente certificatore chiamato in causa nel post di Sinistra Europea, che tuttora continua a sostenere la trasparenza delle elezioni venezuelane, anche senza aver rispettato gli standard internazionali, rimane l’organizzazione Ceela, ovvero il Consejo de Expertos Electorales de Latinoamérica, sprovvisto di un sito, ma fondato e finanziato vent’anni fa da Hugo Chávez e da sempre sotto la guida di Nicanor Moscoso, ex presidente del Tribunale elettorale dell’Ecuador.
Mettere in campo osservatori elettorali politicizzati, scelti da Maduro, è stato lo strumento per cercare di rendere legittimo un processo elettorale inquinato, in cui i risultati, per assenza di documentazione, non possono essere certificabili da osservatori internazionali indipendenti, dotati di expertise e metodologia rigorosa.
Oltre alla povertà estrema e alla fuga dal territorio, certamente aggravata dalle sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti e dal crollo dei prezzi del greggio, i diritti umani, civili e politici dei venezuelani vengono negati e la nascita di un’opposizione di Sinistra platealmente soffocata. Forse, oltre a gridare agli interessi economici delle potenze straniere sul petrolio venezuelano, bisognerebbe attentare al fatto che l’America Latina, ancora una volta, viene trascinata, suo malgrado, in un clima di guerra fredda, in cui specifici blocchi politici si contrappongono sulla pelle dei suoi popoli.

L’autrice: Esperta di diritto internazionale e scrittrice, Claudiléia Lemes Dias è autrice di vari libri, fra cui Le catene del Brasile (L’Asino d’oro edizioni)