Il 29 luglio scorso un 17enne, cittadino britannico (nato in Galles da una famiglia originaria del Ruanda), con problemi psichiatrici, ha ucciso tre bambine e ferito dieci persone a Southport, nel Nord Ovest dell’Inghilterra.
L’episodio è avvenuto in un parco durante una seduta di yoga e danza in quello che per il momento pare un atto violento di uno squilibrato.
Nelle ore successive all’attentato, però, gruppi di estrema destra hanno iniziato a diffondere la falsa notizia che l’attentatore fosse un immigrato illegale musulmano. Così già il 30 luglio, alla veglia organizzata in ricordo delle vittime, gruppi di estrema destra su Twitter, Telegram e Discord si sono radunati causando disordini nel tentativo di attaccare la moschea locale e scontrandosi con la polizia.
Nei giorni successivi, nonostante la durissima risposta del nuovo governo laburista, i disordini si sono allargati a tutta l’Inghilterra e persino nell’Irlanda del Nord, amplificati dall’intervento di due “influencer” dell’estrema destra britannica: Tommy Robinson e Andrew Tate.
E qui entra in gioco anche il ruolo decisivo di Elon Musk: innanzitutto perché i due, entrambi condannati più volte per vari reati, erano stati bloccati da twitter per la diffusione di fake news e incitazione all’odio, salvo poi essere reintegrati da Musk dopo la sua acquisizione della piattaforma social diventato ora X.
Musk però ha avuto anche un ruolo attivo nella vicenda, diffondendo i post di Tommy Robinson e soprattutto attaccando direttamente il premier Keir Starmer per aver reagito troppo duramente nel reprimere la protesta. Non contento il magnate ha pensato di giudicare come inevitabile una guerra civile in tutta Europa.
Ovviamente non poteva mancare all’appello dell’estremista di destra Nigel Farage che ora è un parlamentare di Westminster che ha dato il suo contributo per amplificare le fake news sull’identità e la religione dell’attentatore. Ma sarebbe troppo semplicistico dare la colpa “ai social” per quello che è accaduto.
La realtà è che da decenni in Gran Bretagna si creano le condizioni culturali e sociali all’interno delle quali sono avvenuti questi orrendi atti di razzismo e islamofobia. La scorsa campagna elettorale e in generale il dibattito politico degli ultimi lustri è stato incentrato sul tema degli “sbarchi” sulle coste sud dell’Inghilterra con il governo che ha inanellato una serie dopo l’altra di provvedimenti disumani, prima i barconi galera attraccati sulla costa che sono stati chiusi dopo la diffusione di infezioni batteriche nell’acqua, poi i centri di detenzione all’interno delle caserme e infine il celeberrimo piano di deportazioni verso il Ruanda.
In tutto questo periodo il dibattito politico e mediatico si è sempre più spostato su posizioni xenofobe e islamofobiche, con Boris Johnson che definiva impunemente “bank robbers and letterboxes” cittadini britannici di religione musulmana, Nigel Farage che – in questo rincorso immeditamente dai Tories – propone di abbandonare la Cedu per poter espellere i richiedenti asilo più facilmente e l’estrema destra che – invece di essere ostracizzata – è stata a lungo di fatto istituzionalizzata con continue ospitate televisive di persone come lo stesso Tommy Robinson.
Per non parlare del ruolo centrale avuto dai giornali, tabloid ma non solo, nel creare il clima di caccia alle streghe nei confronti dei migranti.
I riots degli scorsi giorni, quindi, non sorprendono. La buona notizia è che non sorprende neanche la reazione degli anti fascisti che, dopo pochi giorni di sgomento, si sono organizzati e sono scesi per le strade inglesi a dimostrare solidarietà nei confronti delle comunità musulmane e di migranti, facendo letteralmente da scudo umano a negozi, moschee e centri di ospitalità dei rifugiati.
Una tradizione, quella della resistenza civile all’estrema destra che ha radici profonde e che ha avuto l’episodio più iconico nella famosa battaglia di Cable Street a Londra quando, era il 1936, di fatto venne messa la parola fine al movimento fascista britannico per decenni.
Il governo laburista ha però ora l’obbligo non solo di soffocare le rivolte, come sta facendo con grande prova di fermezza, ma di contribuire nei fatti a far superare al paese questo clima di odio nei confronti dei migranti e, soprattutto, affrontare l’islamofobia endemica del Regno Unito.
L’autore:L’autore: Direttore della Fondazione Giorgio Amendola di Torino e giornalista, Domenico Cerabona ha scritto, tra l’altro, “Jeremy Corbyn. Una rivoluzione improbabile” (Castelvecchi) e ha tradotto e curato “La rivoluzione gentile” di Jeremy Corbyn, (Castelvecchi). Per Left cura “A very british podcast”. Sul numero di Left in edicola il suo articolo Caro Starmer non è vero che si vince al centro