Maurizio Bonugli è poeta, ma non solo. È anche un operatore culturale che organizza dei Poetry slam come componente del Collettivo poetico Zauberei di Massa e Carrara insieme a Silvana Cannoni, Selenia Erye, Guglielmo Bertilorenzi, Fabrizio Ferrante. E tante iniziative nella sua città (ricordiamo le presentazioni di libri e gli incontri per il laboratorio politico Left Massa-Carrara). Da pochi mesi è uscito il suo libro di versi A ben vedere (Porto seguro) e il 9 agosto viene presentato in prima nazionale il docufilm A Sud di nessun Nord, la nazionalità è un evento puramente casuale scritto da Maurizio Bonugli insieme a Selenia Erye e diretto dal regista apuano Fabrizio Ferrante (festival La Cappucciniana, convento dei Cappuccini, Capaccola, Massa, ore 21). Lo abbiamo intervistato.
«La poesia non manchi a nessuno, nessuno manchi alla poesia», questa frase di Giovanni Prosperi, poeta e intellettuale marchigiano di Macerata, scomparso nel 2021 campeggia all’inizio del libro come un monito. Affermazione condivisa da tutti noi, ma che in un periodo denso di lutti e di guerre può suonare come un’utopia,una velleità di sognatori….
Sul suo cammino la poesia ha sempre incontrato anche i lutti e le guerre. Non potrebbe essere altrimenti. Un orrore che ritorna. Ed anche se posso apparire come un inguaribile sognatore, alla domanda se la bellezza salverà il mondo, io rispondo di sì. Quello che serve è sperimentare tutto il nuovo possibile. A cominciare dal tentativo di farlo con nuovi linguaggi. Oggi ne servono di “sovversivi”, per reagire alla visione confortevole, rassicurante, caricaturale che ci viene data per esempio dai media. Soprattutto la poesia, quando diventa “discorso pubblico” e sa insinuare dubbi regalando emozioni, ha in sè la potenzialità autentica del cambiamento e per questo deve essere usata, con questa precisa finalità. Ecco perché non deve mancare a nessuno…
A Roma durante uno degli incontri di poesia che si svolgono nell’anno, Maria Grazia Calandrone (premio Strega 2023 per il romanzo Dove non mi hai portata, è appena uscito il suo Magnifico e tremendo stava l’amore, e che è poeta e insegnante presso scuole e carceri, sottolineava l’interesse da parte degli studenti liceali per la poesia. A lei faceva eco il grande vecchio poeta Elio Pecora, commosso per l’accoglienza tributata da parte di classi medie in cui era stato a parlare di poesia. Questo ci apre il cuore, ma una cosa è amare la poesia, un’altra scrivere poesia. Il suo parere?
Premesso che non esistono corsi di laurea che sfornano poeti come fossero ingegneri, forse bisogna immedesimarsi nel poeta che è in noi. Il poeta è l’io che rivela emozioni attraverso la magia delle parole, il colore di quelle parole, la musica che ci sta dentro, dando valore al tempo che racconta cos’è stato, cos’è o cosa sarà. Certamente non tutti diventano poeti ma altri, non sanno ancora di esserlo. Ecco perché occorre educare alla poesia, intanto leggendone molta e poi, moltiplicando le occasioni per incontrarla. A Massa, nella mia città, con gli amici Guglielmo Bertilorenzi, Selenia Erye, Fabrizio Ferrante e Silvana Cannoni, abbiamo dato vita al Collettivo poetico Zauberei organizzando diversi Poetry Slam ai quali hanno partecipato sia in “gara” che nel pubblico, tantissimi giovani. Una maniera originalissima per avvicinare le persone alla poesia. Per renderla “orizzontale”, per ripulirla dalla coltre di polvere che gli si è depositata addosso dimenticata e ignorata nelle librerie dei nonni. Una esperienza ricchissima anche e soprattutto sul piano umano, che ci vedrà impegnati nei prossimi mesi. Stiamo diventando degli “spacciatori” di poesia perché vogliamo creare dipendenza poetica.
Cito dal suo libro «quante sponde di rima socchiuse/sui tuoi occhi contesi/quante piazze e strade e passi/per arrivare a questo mare nudo/che pronuncia tempesta e riparo». Si intitola “Marenudo” e insieme ad altre dallo stesso tono (“Assunto”, “Atti impuri”, “On Holiday”, “La domenica degli acquisti” o anche “Trentacinque gradi”) sono le composizioni in cui più si percepisce una vera capacità di trasfigurazione. Quelle in cui lei è meno impegnato a “fare il poeta”, ma in cui la poesia è nelle cose. È d’accordo?
Discutendo con un amico tempo fa su cos’è la poesia, ho pensato ad un abbozzo di risposta partendo dal mio vivere di ogni giorno e dalla certezza di non poterla definire. Ma tant’è. La poesia è “la banalità del quotidiano”, pensai in quel momento dentro quella discussione. Una normalità che si arrende alla straordinarietà alchemica della parola. Quelle poesie sono fuga dal biografismo, ma c’è vita là dentro. Nulla più che normale quotidianità. In “Assunto”, un tragico colloquio di lavoro. In “Atti impuri”, polluzioni confessate. In “On Holiday”, uno slalom solitario nella moltitudine vacanziera. Ne “La domenica degli acquisti” il bestemmiare la Borsa di Shanghai. In “Trentacinque gradi” una liberata nudità. Questo, tutto nel cortile di casa. È poesia. È Poesia? Come chiamarla altrimenti?
Prendo ad esempio la sua struggente “Il vento di Parkinson”, in cui la capacità di amare fa venire in mente la differenza esistente tra chi è poeta, e chi semplicemente scrive. È d’accordo?
Chi ha il dono della poesia perché la ama e ne scrive, non si accontenta della superficie ben sapendo che, da un passo all’altro, c’è luce persino sotto la suola di una scarpa. Trasformare un dolore in poesia, questo è quello che dovremmo saper fare.
il mio maestro Roberto Roversi diceva che fare poesia è un “atto politico”. Che dice?
Tutto è politico. Ogni manifestazione artistica lo è. Per accondiscendenza o per ribellione. E non mi riferisco soltanto ai diversi sistemi di potere nelle rispettive organizzazioni sociali. La poesia è un atto politico perché contiene in sé la stessa capacità trasformativa propria della politica. E poi perché dall’io del poeta il passaggio al noi dei lettori diventa immediatamente un fatto di tutti per tutti. Nella mia idea di poesia c’è molto de “il personale è politico” di Hanisch. Quel messaggio lo trovo attualissimo. Che farsene, altrimenti, di una poesia autocelebrativa inchiodata alle derive minimaliste di chi ne scrive e dei pochi che ne leggono? Che farsene dello specialismo poetico? Se con la poesia riusciamo a far scorgere l’enormità di un mondo intero, stiamo facendo politica. Stiamo cioè dicendo di non fermarsi a ciò che appare come condizione immodificabile. Stiamo proponendo di andare oltre l’apparenza e al suo inganno. Riuscire a farlo con la poesia partendo poi dalla propria intimità emotiva, sentimentale, dalle proprie esperienze di vita rivolgendosi al “fuori”, al mondo dei desti per dirla con Eraclito, significa opporsi alle solitudini individualiste, significa resistere al “marchettismo” opportunista del modello neo liberista per tornare ad essere protagonisti e complici di una dimensione plurale dell’esistenza che sappia ridare valore ad un io collettivo meritevole di attenzioni, di cura e di reciprocità, in cambio di nulla.
Come ci lasciamo?
…con un invito ad ubriacarsi. Alla Baudelaire però! “De vin, de poésie ou de vertu…”, come vi pare…
L’autrice: Federica Taddei, già giornalista di Radio Rai, è poetessa. Tra le sue pubblicazioni, la raccolta di poesie Eravamo purissimi (Manni editore)