Continuiamo a mantenere alta l’attenzione sul dramma dei palestinesi, come abbiamo fatto in questi mesi fin dal 7 ottobre 2023, giorno dell’attacco terroristico di Hamas al festival nel territorio israeliano e come abbiamo fatto a lungo in precedenza documentando la violazione dei diritti umani, l’occupazione illegale dei Territori palestinesi (come di recente ha dichiarato la Corte internazionale di giustizia), il sistema di apartheid messo in atto dal governo di Tel Aviv denunciato da Amnesty International.
Il silenzio, la complicità e l’impunità non nascono dal nulla. Sono la conseguenza di un sistema che giustifica l’orrore e lo trasforma in normalità. Un sondaggio condotto dall’Institute for National Security Studies (INSS) dell’Università di Tel Aviv ha rivelato le opinioni degli israeliani riguardo a un tema che dovrebbe turbare le coscienze: è giusto perseguire penalmente soldati israeliani che hanno violentato detenuti palestinesi? La risposta, brutale nella sua onestà, svela una realtà inquietante: il 65% degli israeliani crede che quei soldati debbano essere disciplinati solo a livello di comando, come se un atto di tale barbarie potesse essere risolto con una pacca sulla spalla e un rimprovero. Solo il 21% ritiene che dovrebbero essere perseguiti, mentre il restante 14% preferisce non prendere posizione.
Questo sondaggio è figlio di una vergognosa vicenda accaduta circa un mese fa. Dieci soldati israeliani sono stati arrestati e sottoposti a interrogatorio per aver abusato sessualmente di un detenuto palestinese della Striscia di Gaza nella prigione di Sde Teiman, nel deserto del Negev. Non è un’accusa leggera, non è una voce di corridoio. Un video (qui un servizio Cnn ndr), diffuso dai media israeliani, mostra chiaramente alcuni di questi soldati passeggiare tra una trentina di prigionieri palestinesi, tutti con la pancia in giù, vestiti solo di biancheria intima, con le mani legate. È una scena di caccia, non di guerra. Dopo pochi minuti scelgono la loro preda, un giovane. Lo alzano, lo strattonano, lo trascinano via. Lo portano fuori dalla portata della prima telecamera, ma un’altra riprende tutto. Il giovane viene messo all’angolo, circondato dal resto dei militari. Uno dei soldati aizza un cane contro di lui, come se il terrore del giovane non fosse già sufficiente. Poi inizia l’orrore vero e proprio: lo violentano per ore, tanto che le lesioni interne sono così gravi da impedirgli di camminare. E mentre la violenza si consuma, gli altri detenuti, immobili, ascoltano le urla, inermi, chiedendosi quando e se arriverà il loro turno.
Questo è il contesto in cui, dopo l’arresto dei soldati, il 29 luglio, la destra israeliana, politici inclusi, ha fatto irruzione in due basi militari per protestare contro la loro detenzione. Tra i sostenitori, non potevano mancare figure di primo piano del governo: il ministro della Sicurezza nazionale di estrema destra, Itamar Ben-Gvir, e il ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich. Il 4 agosto, i procuratori militari hanno rilasciato tre dei soldati arrestati, mentre altri due erano già stati liberati in seguito a un’udienza presso il tribunale militare di Kfar Yona il 30 luglio. Infine, il tribunale militare ha ordinato il rilascio degli altri cinque soldati, accusati di abusi sessuali, ponendoli agli arresti domiciliari fino al 22 agosto, in attesa delle indagini.
Eppure, il sondaggio ci mostra un volto ancora più spaventoso, scavando più a fondo nel baratro. È stata posta un’altra domanda: “Israele dovrebbe o non dovrebbe obbedire al diritto internazionale e mantenere i valori morali in guerra?” Il 47% degli israeliani ha affermato che l’esercito non deve obbedire al diritto internazionale, mentre solo il 42,5% ritiene che dovrebbe farlo. Un ulteriore 10,5% si limitano a fare spallucce, preferendo non esprimersi.
Tutto ciò rappresenta la normalizzazione dell’orrore. Quando il ministro Bezalel Smotrich definisce questi soldati «eroici guerrieri», chiedendo il loro immediato rilascio, e quando Itamar Ben-Gvir li saluta come «i nostri migliori eroi», la disumanizzazione ha raggiunto il suo apice. Alla domanda di Ahmad Tibi, uno dei parlamentari arabi della Knesset, se fosse legittimo «inserire un bastone nel retto di una persona», Hanoch Milwidsky, membro del partito al governo Likud, ha risposto: «Se è un Nukhba [militante di Hamas], tutto è legittimo da fare! Tutto!».
Chi può fermare questa deriva? Chi potrà mai spegnere l’incendio dell’odio che divora questa terra? Chi può chiedere il rispetto dei diritti umani più basilari, quando i crimini di guerra vengono giustificati, applauditi e trasformati in atti di eroismo dalle più alte istituzioni locali?
Ma fino a che punto si può giustificare l’indicibile in nome di uno Stato che, giorno dopo giorno, abdica sempre di più alla propria umanità? La risposta dell’Occidente, purtroppo, ci costringe a essere spettatori passivi di questo orrore, complici silenti di un genocidio a fuoco lento.
L’autore: Andrea Umbrello è direttore editoriale & Founder di Ultimavoce
Nella foto: la prigione di Sde Teiman, Wikipedia (by Cnn)