La tragica fine di Zahir non può essere considerata un evento isolato, ma fa parte di un quadro più vasto in cui vengono costantemente documentati abusi e crimini sistematici commessi da Israele contro i prigionieri palestinesi

Zahir Tahseen Raddad, un giovane palestinese di 19 anni proveniente da Saida, un villaggio vicino a Tulkarem, in Cisgiordania, è morto domenica 25 agosto 2024 all’ospedale “Meir”, una struttura sanitaria gestita dalle autorità israeliane. La sua morte, ha immediatamente provocato indignazione e allarme nell’opinione pubblica palestinese e le organizzazioni umanitarie che parlano di grave violazione dei diritti umani. La commissione per gli Affari dei prigionieri ed ex prigionieri e il club dei prigionieri palestinesi hanno denunciato pubblicamente le gravi circostanze che hanno portato al decesso del ragazzo.

Zahir era stato arrestato il 23 luglio 2024 dopo essere stato ferito dalle forze israeliane durante un’operazione che l’esercito israeliano ha descritto come “di sicurezza”. Dopo l’arresto, le stesse autorità israeliane hanno utilizzato Zahir come scudo umano, caricandolo sulla parte anteriore di un veicolo militare. Il trattamento riservato al giovane palestinese rappresenta una violazione inaudita ai principi umani fondamentali e uno sfregio alla dignità intrinseca di ogni individuo. Come preda inerme, è stato esposto alla brutalità del potere, vittima di una caccia in cui la vita è svalutata e l’essere umano diventa solo un mezzo, privato di identità e valore.

Nonostante le sue condizioni di salute estremamente critiche, Zahir è stato trattenuto dalle autorità israeliane e non ha avuto alcuna possibilità di partecipare alle udienze del suo processo. Durante la sua detenzione, ha subito numerosi interventi chirurgici ed è stato mantenuto in vita solo grazie al supporto medico intensivo. Nonostante le cure ricevute, è rimasto in custodia fino al giorno della sua morte.

La tragica fine di Zahir non può essere considerata un evento isolato, ma fa parte di un quadro più vasto in cui vengono costantemente documentati abusi e crimini sistematici commessi da Israele contro i prigionieri palestinesi. Le organizzazioni che monitorano la situazione all’interno dei penitenziari israeliani, tra cui la commissione per gli Affari dei prigionieri ed ex prigionieri e B’Tselem, denunciano che i prigionieri palestinesi sono frequentemente sottoposti a torture, umiliazioni, privazioni alimentari e isolamento forzato.

Dal 1967, anno dell’inizio dell’occupazione israeliana dei territori palestinesi, Israele ha imprigionato quasi 800mila palestinesi, ovvero circa il 20% della popolazione e il 40% degli uomini palestinesi, il che significa che non esiste famiglia palestinese in cui uno dei suoi membri non abbia vissuto l’esperienza della prigionia.

B’Tselem descrive il sistema carcerario israeliano come uno strumento che deumanizza i palestinesi, trasformandoli in un blocco omogeneo senza volti né identità individuali. Secondo l’organizzazione, questa disumanizzazione serve a giustificare l’oppressione e la violazione dei diritti fondamentali dei detenuti, rendendo il carcere una delle manifestazioni più estreme e brutali del controllo israeliano sui palestinesi.

La crisi dei diritti umani nei territori illegalmente occupati da Israele è in costante aumento. Con la morte di Zahir, il totale dei prigionieri palestinesi deceduti dal 7 ottobre 2024 è arrivato a 23, rendendo questo periodo uno dei più tragici nella storia del movimento dei prigionieri. Nel frattempo il numero complessivo di prigionieri morti in custodia dall’inizio dell’occupazione israeliana nel 1967 ha raggiunto i 260.

Zahir Tahseen Raddad è l’ennesima vittima innocente dell’inferno che si vive quotidianamente nelle prigioni israeliane. Un altro nome aggiunto alla macabra lista dei prigionieri torturati, umiliati e infine uccisi, in un modo o nell’altro, nel conflitto israelo-palestinese.

In quei luoghi dove la speranza muore sotto il peso della violenza e il silenzio della disumanizzazione, la sua morte si trasforma in una protesta inarrestabile. È un poema di resistenza, un richiamo a ricordare non solo la forza, ma anche la crudeltà con cui viene annientata la dignità umana.

L’autore: Andrea Umbrello è direttore editoriale & Founder di Ultimavoce