Alla festa dell'Unità di Ferrara il 3 settembre la presentazione del libro di Left contro il premierato

Di Premierato, o meglio di elezione diretta del presidente del Consiglio, Left parla il 3 settembre alla Festa dell’Unità di Ferrara (Pontelagoscuro) con Angelo Schillaci, professore associato di Diritto pubblico comparato all’Università La Sapienza di Roma (e già difensore del Ddl Zan).

Approvato in Consiglio dei ministri lo scorso 3 novembre e in Senato il 18 giugno, il Ddl Casellati sul premierato si appresta a passare alla Camera, seppure non si esclude da parte della maggioranza un reinvio alla luce delle ambiguità ancora sussistenti rilevate da oltre 3 mila emendamenti e delle manifestazioni di piazza, come quella unitaria di Santi Apostoli il giorno del sì del Senato.
Professor Schillaci il premierato è stato presentato come forma di maggior potere al cittadino. Dall’elettorato viene percepito come rappresentanza o investitura cui acconsente? Quale è la posta in gioco?
La promessa di maggior potere e coinvolgimento è solo apparente: la combinazione tra elezione diretta del presidente del Consiglio e elezione a strascico della maggioranza parlamentare trasforma infatti la nostra democrazia nella sola investitura di un leader, dalla quale dipenderanno tutte le dinamiche di funzionamento della forma di governo. La posta in gioco, quindi, è la stessa fisionomia della forma di Stato repubblicana, che si basa sul concorso democratico dei cittadini nella determinazione della politica nazionale attraverso l’associazione in partiti, come vuole l’articolo 49 della Costituzione. Un processo che dal basso conduce verso l’alto, e non viceversa.
Il nostro elettorato, che peraltro vira verso l’astensionismo, è sufficientemente consapevole e informato di cosa significa questo tipo di riforma costituzionale?
La storia recente – penso alla riforma del 2016 ma anche, con le dovute differenze, al taglio dei parlamentari – dimostra che la revisione della costituzione viene percepita come un grande tema del dibattito pubblico, suscitando discussione e partecipazione. In questo caso c’è ancora bisogno di un lavoro di informazione e sensibilizzazione sulle implicazioni profonde della riforma: quel che rischia di passare al grande pubblico è infatti che si tratti di una riforma che dà maggior potere ai cittadini quando si tratta esattamente del contrario.
Cosa il cittadino, nella narrazione / propaganda, non sa?
Ancora non è sufficientemente chiaro che l’elezione diretta del presidente del Consiglio e l’elezione a strascico della maggioranza parlamentare riducono, anziché aumentare, gli spazi della partecipazione democratica e mettono a rischio la tenuta delle istituzioni di garanzia. L’essenza di una democrazia costituzionale – indipendentemente dal modo di selezione della leadership – sta infatti negli equilibri e nei contrappesi che permettono di controllare continuamente l’esercizio del potere da parte delle maggioranze. Equilibri e contrappesi che la riforma vanifica.
Davvero i governi dureranno di più?
Non è affatto detto. La riforma stessa prevede la possibilità di sostituire il presidente del Consiglio eletto con un altro esponente della stessa maggioranza, ad esempio. Più che mirare alla stabilità complessiva della forma di governo, la riforma sembra piuttosto puntare ad assicurare la stabilità della maggioranza elettorale, peraltro assecondandone – paradossalmente – le dinamiche conflittuali.
Un presidente della Repubblica de-potenziato, quasi subalterno al presidente del Consiglio, come potrà essere garante della Costituzione e dell’unità nazionale?
Anche in questo caso, apparenza e realtà vanno in direzioni diverse. Dal punto di vista formale, infatti, i poteri del Presidente della Repubblica non vengono intaccati. Tuttavia, la “coabitazione” con un Presidente del consiglio eletto direttamente dai cittadini sottoporrà inevitabilmente le funzioni di garanzia del Presidente della Repubblica a un fortissimo stress.
La cancellazione della nomina dei senatori a vita, che senso ha e in che direzione va?
L’eliminazione dei senatori a vita è coerente con l’obiettivo di ridurre l’intero funzionamento della forma di governo alla sola elezione di un leader e di una maggioranza parlamentare. Si ritiene infatti che la presenza di parlamentari non eletti possa in qualche modo alterare le dinamiche politiche e gli equilibri parlamentari determinati dalle elezioni. La storia della Repubblica dimostra, tuttavia, che le senatrici e i senatori a vita hanno rappresentato una risorsa importante in termini di autorevolezza della classe politica nel suo complesso: basti pensare da ultimo, alla figura della senatrice Liliana Segre. Non credo che perdere questo patrimonio faccia bene alla qualità della nostra democrazia.
Che lettura si può dare del ddl Casellati nel contesto attuale, internazionale? Oggi il semipresidenzialismo francese è percepito come autoritario e in quanto tale oggi vulnerabile. Il presidenzialismo americano, con Capitol Hill, preoccupa per le possibili degenerazioni. E nel mezzo ci sono il conflitto russo – ucraino e israelo – palestinese?
In un tempo complesso come quello che viviamo, si ha la falsa impressione che una leadership forte e solitaria sia più adatta a fronteggiare crisi e ad assumere decisioni. Questo vale – ovviamente e non da ora – nei contesti autoritari ma, purtroppo, questa convinzione tende a farsi strada anche nelle democrazie. Si dimentica però che, come dimostra la storia del costituzionalismo occidentale, la chiave del successo delle democrazie sta nell’equilibrio tra leadership solide e processi politico-parlamentari fortemente legittimati in dinamiche di partecipazione e nella salvaguardia del pluralismo: questo è, in fondo, anche l’insegnamento di modelli come quello francese e quello statunitense che, al netto delle degenerazioni, si sono sempre ispirati a questo tipo di equilibrio. Insomma, per essere solida e stabile, una leadership ha bisogno di avere alle spalle un tessuto democratico forte e in salute.
Che peso avrebbero col Premierato i corpi intermedi? Perderebbero autorevolezza?
Ridurre il funzionamento della democrazia all’investitura elettorale del leader e della “sua” maggioranza parlamentare ridurrà indubbiamente il ruolo dei corpi intermedi e degli stessi partiti politici. Le istanze di riconoscimento e di giustizia veicolate dai corpi intermedi faranno quindi più fatica a trovare rappresentazione nel processo politico, che sarà inevitabilmente egemonizzato dal/la leader eletto/a.
Secondo lei, alla fine, si farà il referendum?
Fino a questo momento, l’iter della riforma costituzionale è stato portato avanti secondo una logica tutta interna alla maggioranza e al governo. Se le cose non cambieranno – se cioè non ci saranno delle aperture significative e reali alle opposizioni, anzitutto per quel che riguarda proprio l’elezione diretta del presidente del Consiglio – mi pare molto probabile che la riforma venga approvata a maggioranza assoluta e che, quindi, si apra la strada per il referendum oppositivo previsto dall’articolo 138.

L’appuntamento:Il 3 settembre alle 19.45 CONTRO IL PREMIERATO alla Festa dell’Unità di Ferrara, per difendere la nostra Costituzione nata dalla Resistenza.

Intervengono: Angelo Schillaci, professore associato di diritto pubblico comparato Università La Sapienza di Roma, Mattia Franceschelli, capogruppo Pd, Comune di Cento (Fe) Modera: Camilla Ghedini, giornalista collaboratrice di Left

 

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