Contro il caporalato e lo sfruttamento dei lavoratori agricoli possiamo agire attivamente. Ecco cosa ciascuno di noi può fare. A colloquio con l'autore de "L’ipocrisia dell’abbondanza”
L'esigenza più pratica di ogni consumatore passa dal desiderio di riempire frigoriferi e dispense, di portare in tavola sempre più cibo, frutta, verdura e prodotti alimentari, possibilmente a basso costo. Un’esigenza acuita dalla povertà in aumento e da un potere di acquisto in calo, bruciato dall’inflazione. Ma tutto ciò rischia in qualche modo di diventare un (involontario) alleato del caporalato, di foraggiare lo sfruttamento del lavoro? E avremmo gli strumenti per disinnescare questo rischio, evitando i prodotti di aziende poco trasparenti, boicottando beni che arrivino sugli scaffali dopo un percorso lavorativo opaco? Affinché la nostra illusoria “opulenza” non diventi un meccanismo perverso, che si ripercuote sulle condizioni di lavoro e di vita di altre persone, spesso l’anello debole del ciclo produttivo, è arrivato il momento di prendere coscienza di un fenomeno.
L’ipocrisia dell’abbondanza. Perché non compreremo più cibo a basso costo è l’ultimo saggio di Fabio Ciconte (Laterza), scrittore ed esperto di agricoltura, nonché direttore dell’associazione ambientalista Terra!
Un libro come quello di Ciconte permette riflessioni di ampio respiro, perché occuparsi di cibo è una delle questioni centrali del nostro tempo, vuol dire avere a cuore l’ambiente, i diritti sociali, i temi della povertà e dello sfruttamento.
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