Bene la proposta dello ius scholae, il necessarissimo minimo sindacale per tutelare i diritti di un milione di italiani senza cittadinanza. Ma la battaglia da fare ora, a sinistra, è per l’abolizione della legge 189 del 2002 che istituì il reato di clandestinità, il maggior ostacolo all’immigrazione regolare in Italia

Finalmente si torna a parlare concretamente della necessità di riformare la legge sulla cittadinanza, varata nel lontano 1992 quando la realtà italiana era ben diversa da oggi. Ci battiamo per questo da moltissimi anni come racconta tutta la storia di Left. Che (dopo le polemiche legate alle Olimpiadi) di questo tema si sia discusso per tutto agosto è un fatto inusuale, speriamo non sia il segnale di un interesse transitorio (troppe volte negli anni l’abbiamo registrato). Sul piatto c’è una proposta di mediazione: lo ius scholae che permetterebbe agli studenti stranieri di acquisire la cittadinanza dopo un ciclo di studi. Il Pd di Schlein avrebbe preferito lo ius soli (cioè: è italiano chi nasce in Italia) ma è aperto alle proposte potenzialmente trasversali di Forza Italia e M5s. È un primo passo. Ora se ne discuta in Parlamento. I diritti fondamentali di un milione circa di giovani italiani senza cittadinanza non possono più aspettare. Troppe volte sono stati feriti dalle politiche discriminatorie delle destre e sono stati delusi dai partiti di centrosinistra. («Potevamo approvare la legge sullo ius soli nel 2015», ammette il sindaco Pd di Roma Gualtieri ed ex ministro dell’economia Pd). Ma tant’è. Adesso anche un partito di centro-destra come Forza Italia sembrerebbe aver maturato la consapevolezza che lo ius sanguinis, la cittadinanza per diritto di sangue, per stirpe (in virtù di antenati che magari nemmeno parlano italiano) è discriminatorio e fuori dal tempo. Gli alti lai di Lega e Fratelli d’Italia che si trincerano dietro la frase «Non è nel programma», evidenziano una falla nella maggioranza. L’opposizione ha l’occasione per renderla una voragine, riprendendo contatto vero con la realtà dell’Italia, un Paese che sta invecchiando, senza prospettive, che ha bisogno della linfa vitale, delle idee e non solo della forza lavoro degli immigrati. (Lo ha detto perfino il capo di Bankitalia Panetta).

Allora guardiamoci in faccia: bene la proposta dello ius scholae che è il necessarissimo minimo sindacale, ma se gli studenti immigrati di seconda generazione vivono in famiglie in cui i genitori sono spinti verso la marginalità dalla legge Bossi-Fini siamo punto e accapo. «Non basta infatti che si consenta al minore “irregolare” di essere iscritto alla scuola italiana o proseguire gli studi con riserva, perché di fatto, l’irregolarità della permanenza in Italia dei genitori incide sulla possibilità di avere una casa, mezzi di sostentamento, un lavoro e uno stipendio regolari. Cioè tutti quegli elementi essenziali alla frequentazione scolastica», si legge nell’appello dell’associazione Migrare, che ha lanciato una petizione e una raccolta di firme su Change.org.

La battaglia da fare ora, a sinistra, è per l’abolizione della legge 189 del 2002 che istituì il reato di clandestinità, che è il maggior ostacolo all’immigrazione regolare in Italia perché prevede l’ingresso solo a chi ha già un posto di lavoro. In questo modo gli immigrati che vengono in Italia per lavorare – intrappolati nel combinato disposto fra legge Bossi-Fini e decreto flussi – finiscono nelle mani di “datori di lavoro” che li sfruttano, li ricattano, li riducono in condizioni di schiavitù lasciandoli alla mercé del caporalato e della criminalità organizzata. Proprio grazie alla Bossi-Fini e a imprenditori senza scrupoli i lavoratori immigrati vanno ad alimentare il vasto mondo del lavoro “nero” senza tutele, senza sicurezza, senza diritti.

L’uccisione di Satnam Singh, lasciato morire dopo un incidente sul lavoro nell’Agro pontino, al quale dedichiamo idealmente anche questa storia di copertina, continua a interrogare le nostre coscienze. Lo scorso giugno la sua inaccettabile fine aveva potentemente scosso l’opinione pubblica. Così come per il femminicidio di Giulia Cecchettin, grandi manifestazioni in piazza per dire no alla violenza, no alla riduzione di esseri umani a oggetti da possedere, da sfruttare, da gettare via. Poi però nulla è cambiato. E in questa estate torrida ci sono stati altri femminicidi e altre morti di lavoratori, nei campi e non solo, che purtroppo non hanno avuto la stessa eco. Ce ne parla Jean-René Bilongo della Flai Cgil, coordinatore dell’Osservatorio Placido Rizzotto, riportando della morte di Dalvir Singh morto il 16 agosto nelle campagne di Latina e un altro presunto omicidio, quello di Rajwinder Sodhu Singh accaduto a maggio. Sono vittime di un sistema di produzione e di massimizzazione del profitto che non tiene in nessuna considerazione la vita umana. Accade anche nelle fabbriche, accade in agricoltura, non solo al centro sud. Le cronache ci dicono della presenza di lavoro nero, di caporalato, di subappalti che non rispettano i diritti dei lavoratori anche nel produttivo nord. E anche in filiere di grandi marchi di moda che pagano borse ai produttori poco più di 50 euro e le rivendono a oltre duemila.
Per sconfiggere il caporalato abbiamo a disposizione anche buone leggi, come la 199 (conquistata con aspre lotte sindacali) ma è largamente disapplicata, specie nella parte della prevenzione. Mancano i controlli, come torna a denunciare il segretario generale della Flai Cgil Mininni che già mesi fa su Left paventava il rischio che i 200 milioni di euro del Pnrr destinati alla costruzione per alloggi dignitosi per lavoratori immigrati potessero essere stornati e destinati ad altro. Che fine hanno fatto quei soldi che dovevano servire al superamento di ghetti e baraccopoli? Oggi, mentre si torna a parlare di costruzione di nuove carceri e di disumani, costosi e molto probabilmente incostituzionali Cpr in Albania, la domanda è più attuale che mai.

Nella foto: Immagine dalla pagina facebook di Italiani senza cittadinanza